Una «terza dose è sicuramente da prevedere» così come la possibilità che «non avremo mai una dichiarazione di “fine pandemia”», quanto una «situazione di tolleranza con pochi casi e con pochi morti, come è accaduto con l’Hiv». In tutto questo, «continueremo ancora per un anno a portare le mascherine, soprattutto sul lavoro» e in autunno dovremo affrontare di nuovo «colpo di coda della pandemia, anche se più leggero di quelli passati». Fabrizio Pregliasco, virologo dell’Università degli studi di Milano e direttore sanitario dell’Istituto Galeazzi, consiglia tanta pazienza ma ha molta fiducia nei vaccini: «Sono l’unico modo per uscirne».
Si parla di una terza dose con Pfizer e Moderna. È d’accordo?
«Molto. Anche sull’impiego di questi due tipi di vaccino. Gli studi che abbiamo a disposizione dicono che l’efficacia della somministrazione dura circa dieci mesi. Questo vuol dire che chi è stato vaccinato a gennaio, già a ottobre avrà perso un po’ dell’effetto iniziale. Questo non è un problema perché in una campagna vaccinale si può tranquillamente tollerare la perdita di un po’ di forza ma, considerando l’andamento epidemiologico e la disponibilità di dosi, è giusto valutare una terza puntura».
Il governo sta ragionando su tre fasi: a ottobre immunodepressi gravi e malati oncologici guariti da almeno sei mesi; prima di Natale il personale sanitario e da gennaio forze dell’ordine, over 80 e fragili. Cosa ne pensa?
«È un buon piano. Serve una progressione per mettere in sicurezza le persone più a rischio. Poi è chiaro che la programmazione dovrà tenere conto anche delle varianti. E, in un’ottica di lunga permanenza del virus, dovremo pensare anche ai richiami che, come accade per l’antinfluenzale, potranno riguardare solo i più fragili».
Uno dei temi sarà quale vaccino dare a chi ha fatto l’eterologa (due vaccini diversi tra prima e seconda dose, ndr). Quale strada si percorrerà?
«In questa fase mancano gli studi di comparazione con vaccini diversi e manca, soprattutto, il tempo. Quindi sono certo che la terza inoculazione per chi si è sottoposto a eterologa sarà necessariamente un vaccino a mRna».
Dovremo vaccinare anche gli under 12?
«Ci sono studi preliminari buoni che ci fanno andare in questa direzione e credo che ci arriveremo nei prossimi tre mesi. Anche perché oggi sono soprattutto i bambini a diffondere il virus. In ogni caso, parliamo di inoculazioni dai cinque anni in su e con Pfizer e Moderna».
Raggiungeremo la tanto agognata immunità di gregge?
«Non direi. L’immunità di gregge si basa su un modello statistico istantaneo. La nostra è invece una situazione fluida in cui si inseriscono ogni giorno nuovi vaccinati, nuovi guariti, altri contagiati e morti. E peraltro inficiata dall’assenza di una parte della popolazione, quella minore di 12 anni. Parlare di immunità di gregge in senso stretto, cioè di sparizione della malattia, non si può. Diciamo che possiamo raggiungere dei livelli minimi di sicurezza, ma questo ci obbligherà a continuare con il tracciamento e le altre misure».
C’entrano le varianti con l’impossibilità raggiungerla?
«Indubbiamente. Ora ce n’è una nuova, la Lamda, che da noi non sta ancora dando problemi, ma in altre parti del mondo sì. Stiamo portando avanti un sovranismo vaccinale che a noi garantisce un po’ di sicurezza ma ci sono aree del mondo completamente scoperte».
Cosa ci aspetta in autunno?
«Vedendo i dati possiamo dire che la quarta ondata sta rallentando, non c’è più la verticalità delle scorse settimane e siamo arrivati a un plateau. A settembre e ottobre tuttavia mi aspetto che ci sia effetto a “sasso nello stagno” con ondate iniziali più forti e poi molto più deboli: durerà ancora due-tre anni. Sarà un colpo di coda, magari non pesante come quelli passati, che dovremo aspettarci. Dobbiamo pianificare la nostra vita immaginando sempre lo scenario peggiore».
Quando finirà la pandemia?
«Non avremo una dichiarazione di fine ma una situazione di tolleranza con pochi casi e poche morti. Come è avvenuto con l’Hiv: ogni giorno ci sono un po’ di persone che si infettano ma non se ne parla più, è diventato un virus endemico. E così sarà per il coronavirus».
Quando toglieremo le mascherine?
«Non prima della fine del prossimo anno. Anzi, sarebbe auspicabile se si continuassero a tenere nei luoghi di lavoro o in caso di sintomi da malattie respiratorie come l’influenza o il raffreddore».
Ci sono 4 milioni di over 50 restii. Come si convincono?
«Non è facile. Fisiologicamente una quota di spaventati rimarrà sempre. Molti però cambieranno idea quando vedranno che noi vaccinati non moriamo. Alcuni si sono fatti convincere dal Green Pass e questo è un buon risultato. Fa sorridere vedere chi si è vaccinato contro la febbre gialla con il malarone, che ha effetti collaterali molto pesanti, pur di fare un viaggio e che oggi esprime dubbi su questi vaccini». —
La Stampa