E’ un’istigazione all’abuso del lavoro precario la proroga dei contratti a tempo determinato nella pubblica amministrazione, inserita dagli emendamenti al disegno di legge di stabilità. Se da un lato l’emendamento dà ossigeno a migliaia di lavoratori, che possono così contare su altri mesi di reddito, dall’altro gli effetti derivanti da simile proroga appaiono davvero perversi.
Si apre, di fatto, uno spazio a una nuova ondata di stabilizzazioni, parola che, non a caso, in questi giorni sta tornando molto di moda. Gli emendamenti, è vero, riproducono nella sostanza anche la disciplina dell’articolo 17, commi 13 e seguenti, della legge 102/2009, i quali limitano, per i lavoratori «precari’, gli effetti dello svolgimento di un pregresso rapporto di lavoro con la pubblica amministrazione al beneficio di poter partecipare a concorsi con riserva di posti non superiore al 40%.
E’ evidente, però, che la proroga dei contratti dei lavoratori a tempo determinato oltre il termine ordinario dei 36 mesi fissato dal dlgs 368/2001 rompe il sistema di tutele contro l’abuso delle forme flessibili di lavoro, sostanzialmente destabilizzando i datori di lavoro pubblici. Si tratta di una situazione paradossale. Nel privato, lo sforamento dei termini di durata massima dei rapporti a tempo determinato fa incappare i datori nella «tutela reale, cioè in una pronuncia giudiziale che dispone la conversione in rapporto di lavoro a tempo indeterminato. La «precarietà» nel settore privato, dunque, dispone di una duplice tutela contro gli abusi: l’inderogabilità dei 36 mesi e la possibilità della conversione del contratto.
Nella pubblica amministrazione non solo la conversione non solo è vietata (nonostante alcune erronee sentenze di qualche giudice del lavoro), ma con la proroga si prolungano i termini di durata, abilitando la pubblica amministrazione a compiere esattamente ciò che il legislatore da sempre vuole impedire: l’utilizzo abusivo di forme flessibili di lavoro, per fabbisogni che in realtà sono stabili. I abuso dei contratti a termine non dovrebbe essere considerato di peso diverso, a seconda che il datore sia pubblico o privato. Soprattutto, norme come quelle che intende fissare il ddl di stabilità deresponsabilizzano il datore pubblico, che non viene messo nella condizione di ponderare bene le ragioni a fondamento del contratto a termine, potendo contare su sanatorie o proroghe, senza che da esse discenda una responsabilità di alcun genere. In più, i lavoratori precari della pubblica amministrazione finiscono per restare nella trappola della precarietà «cattiva., proprio perché, quella del settore pubblico, a differenza di quella privata, non può mai comportare una trasformazione in lavoro stabile, a meno di pesanti forzature, tutte oltre la soglia della costituzionalità.
ItaliaOggi – 21 dicembre 2012