Diciotto moduli da compilare per colpa di un solo miserabile euro di pensione sono un supplizio che non sarebbe venuto in mente neppure al polacco Alexander Moszkowski, dalla cui fantasia nacque Atrocla, l’isola della burocrazia che rende pazzi. L’Inpdap, le Poste e tutta la «cavilleria» italiana, miracolo!, ce l’hanno fatta. Sportello delle Poste centrali di Venezia. Mattinata di fine inverno. La signora Milena V. si presenta col marito a ritirare la sua pensione. «Spiacente signora, lei ha una pensione di 1001 euro. Dal 1° marzo possiamo pagarne solo 1000 in contanti». «E l’euro in più?». «Dovrà aprire un conto corrente postale, sul quale le verrà accreditata la somma in eccesso ai 1000 euro che possiamo pagare in contanti».
«Bene, allora, rinuncio a quell’euro».
«Impossibile, non può rinunciare a una parte della pensione che le spetta»
«Posso fare un atto di donazione in beneficenza?»
«Assolutamente no, mi spiace».
«Bene, allora accreditatemi la pensione sul conto corrente postale di mio marito, sul quale ho la firma».
«Mi spiace signora, il conto deve essere cointestato a lei». «Bene, qui c’è mio marito, facciamo questa cointestazione del conto».
«Spiacente, non è possibile modificare un conto corrente esistente».
«In qualunque banca del mondo si fa!»
«Qui siamo alle Poste Italiane e non in una banca!»
«Allora?»
«Basta chiudere il conto esistente e aprirne uno nuovo, cointestato».
«Scusi, ma è un conto di lavoro, mica si possono cambiare tutti i codici…»
«Allora ne apra uno nuovo, tutto suo».
«Gratis?»
«No, non abbiamo disposizioni in merito e dovrà seguire le normali tariffe dei nostri conti correnti».
«Scherzate? Per un euro al mese vado a pagarvi anche delle commissioni?»
«Allora apra un libretto di risparmio, le costerà meno».
«Va bene, mi arrendo».
L’impiegata esce, apre un armadio e ritorna con una pila di fogli: diciotto moduli (18!) diversi da riempire, a mano, l’uno dopo l’altro, con firme da apporre sotto pagine in caratteri in corpo 7 così minuscoli da richiedere una lente d’ingrandimento. C’è anche la normativa «antimafia». Meno male: vade retro, cosca!
Una volta riempiti i 18 moduli, l’impiegata comincia diligentemente a trascriverli sul computer e così, fra un commento e l’altro («Capisco, ma stando dietro a questo banco non posso commentare le sue lamentele, che pur comprendo…») passano oltre 40 minuti. La gente in fila allo sportello dà segni di nervosismo sempre più evidenti. «Ci vogliamo muovere?»
Dai e dai, finalmente, ecco partorito il topolino: il «libretto di risparmio» sul quale mensilmente andrà a depositarsi l’euro in più. Perché la pensione possa essere pagata, però, spiega la solerte e incolpevole impiegata alle due stremate vittime del Golgota burocratico, bisogna informare l’Inpdap, fatto confluire nell’Inps. Altro calvario.
Racconta nel suo affascinante «Dizionario dei luoghi immaginari» Anna Ferrari, che nell’isola di Atrocla creata da Moszkowski, «gli indigeni hanno sviluppato in sommo grado l’arte di complicare le cose. Ogni aspetto anche minuto della vita quotidiana è regolato da una pletora di leggi, codici e regolamenti, di una tale complicazione e contraddittorietà che è impossibile per un abitante dell’isola non infrangere almeno di tanto in tanto la legge. Quasi tutti, di conseguenza, vengono puniti, e i pochissimi innocenti vengono guardati con un certo sospetto».
Peggio: «Come se non bastasse, le leggi e leggine promulgate sull’isola sono conservate in ben trecentocinquantamila volumi, che nel loro insieme costituiscono la Biblioteca di Atrocla. Ufficialmente allo scopo di evitare qualsiasi fuga di notizie riservate, ma di fatto rendendo impossibile l’accesso a qualsiasi forma di documentazione, i bibliotecari tengono rigorosamente i volumi sotto chiave, e nessuno degli abitanti può conoscere le leggi che pure dovrebbe rispettare per non essere punito. I bibliotecari stessi poi si distinguono in due categorie: quelli che non danno informazioni e quelli che le danno sbagliate e fuorvianti».
Manco fossero prigionieri dell’isola che rende pazzi, la signora e il marito, quindi, si piazzano davanti al computer (immaginatevi la stessa penitenza inflitta a una vecchia montanara del tutto digiuna delle nuove tecnologie) alla ricerca dell’agognato modulo da compilare. Punto di partenza, il sito www.inpdap.gov.it. Il quale rimanda a un sito dell’Inps. Solo che qui, di moduli, ce ne sono a decine e decine. Come cercare un ago nel pagliaio.
Finché l’agognato formulario, «Modalità di riscossione della pensione gestione ex Inpdap / Prestazione: accreditamento pensione in conto corrente postale o libretto postale» emerge infine dalle nebbie internautiche. Restano solo da eseguire le istruzioni le quali raccomandano che va compilato «online» e rispedito «per via telematica».
Sulla prima riga, precedendo perfino il nome e cognome, va riportato il «Codice Fiscale». Problema: tutti sanno che questo codice è composto da un totale di 17 lettere e numeri. Tutti meno chi ha confezionato il modulo: il prospetto «telematico» ha infatti solo 10 (dieci!) caselle. Inserirci il codice richiesto, elettronicamente, è impossibile. La soluzione? All’italiana: stampare il modulo, compilarlo con la penna e andare a consegnarlo personalmente all’ufficio più vicino…
Ma su con la vita: il modulo, adesso, è stato cambiato con l’inserimento, dopo le proteste, delle sette caselle che mancavano. Alleluia. Anche l’Italia, lemme lemme, entra nel terzo millennio…
Gian Antonio Stella – Corriere della Sera – 17 marzo 2012