Se il dipendente di una banca viene trovato, dalla polizia, in possesso di un ingente quantitativo di hashish, è legittimo il provvedimento di licenziamento per giusta causa. E’ quanto ha stabilito la Sezione Lavoro della Cassazione, con la sentenza 26 aprile 2012, n. 6498.
Il caso vedeva un dipendente presso una banca, con inquadramento nella terza area professionale, essere stato trovato in possesso di un grosso quantitativo di sostanza stupefacente, a seguito di una attività di controllo ad opera della polizia, al di fuori della sede dell’azienda. Mentre i giudici di primo grado respingono il ricorso del lavoratore, la Corte d’Appello ha ritenuto che l’uso di sostanze stupefacenti al di fuori del rapporto di lavoro, non possa incidere sul vincolo fiduciario intercorrente fra una banca e un suo dipendente, rilevando il minor disvalore della condotta di mera detenzione di stupefacenti rispetto a quella di spaccio e fondando la sua decisione sulla considerazione che l’uso di hashish non comporterebbe assuefazione, non determinerebbe la modificazione della personalità e avrebbe un costo modesto, con conseguente inesistenza di pericoli per istituto di credito anche dal punto di vista dell’immagine. La banca propone ricorso, accolto dai giudici di legittimità.
Per quanto attiene ai criteri che debbono essere rilevati per valutare la sussistenza o meno di una giusta causa di licenziamento, in giurisprudenza si afferma costantemente che, per stabilire in concreto l’esistenza di una giusta causa di licenziamento, che deve rivestire il carattere di grave negazione degli elementi essenziali del rapporto di lavoro, ed in particolare di quello fiduciario, occorre valutare, da un lato, la gravità dei fatti addebitati al lavoratore, in relazione alla portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, alle circostanze nelle quali sono stati commessi ed all’intensità dell’elemento intenzionale, dall’altro la proporzionalità fra tali fatti e la sanzione inflitta.
Come espressamente affermato dai giudici della Sezione Lavoro della Cassazione: “Anche nell’ipotesi in cui la disciplina collettiva preveda un determinato comportamento quale giusta causa di licenziamento, il giudice investito della legittimità di tale recesso deve comunque valutare l’effettiva gravità del comportamento stesso alla luce di tutte le circostanze del caso concreto, con l’ulteriore precisazione secondo cui la previsione di ipotesi di giusta causa di licenziamento contenuta in un contratto collettivo non vincola il giudice, dato che questi deve sempre verificare, stante l’inderogabilità della disciplina dei licenziamenti, se quella previsione sia conforme alla nozione di giusta causa, di cui all’art. 2119 c.c., e se, in ossequio al principio generale di ragionevolezza e di proporzionalità, il fatto addebitato sia di entità tale da legittimare il recesso, tenendo anche conto dell’elemento intenzionale che ha sorretto la condotta del lavoratore”.
Spetta al giudice di merito procedere alla valutazione della proporzionalità della sanzione espulsiva rispetto alla condotta addebitata al lavoratore con riferimento a tutte le circostanze del caso concreto, secondo un apprezzamento di fatto che non è rinnovabile in sede di legittimità, bensì censurabile per vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione.
In conclusione, la sentenza della Corte d’Appello si articola in una valutazione non adeguatamente motivata, nè coerente sul piano logico, e non rispettosa dei principi giuridici in precedenza indicati. “Le considerazioni del giudice di secondo grado, in ordine agli effetti complessivi delle sostanze stupefacenti in questione, anche in relazione agli effetti delle sostanze alcoliche, alle condizioni di tempo e luogo, ai riflessi sociali, poste come presupposto della valutazione sulla gravità della condotta del lavoratore, nel giudizio di proporzionalità, sono assertive, non fondate su prove, e non possono essere ricondotte ai canoni giuridici delle massime di esperienza, o dei fatti notori, come precisati dalla giurisprudenza di questa Corte, sicché non risulta estrinsecato il complessivo percorso logico-motivazionale”.
Cassazione civile , sez. lavoro, sentenza 26.04.2012 n° 6498
(Altalex, 21 maggio 2012. Nota di Simone Marani)