La storia è destinata sempre a ripetersi, sosteneva il filosofo Giambattista Vico nella sua famosa teoria dei «corsi e ricorsi storici». E se è difficile al momento attuale ipotizzare se Pier Carlo Padoan si troverà di fronte al medesimo scenario che toccò nove anni orsono a Tommaso Padoa-Schioppa, il contesto non appare del tutto ostile al verificarsi di quell’evento. Ricordiamo che cosa accadde. Il governo di Romano Prodi era dimissionario e le elezioni alle porte, mentre incombeva una singolare coincidenza.
Tutte le poltrone nelle più grandi imprese di Stato, dalle Poste alla Finmeccanica passando per l’Eni e l’Enel erano in scadenza. Alcune, per giunta, occupate da innumerevoli anni da persone nominata dal centrodestra, che aveva avuto l’occasione di gestire il pacchetto nelle due tornate precedenti. La sinistra era in affanno: il partito democratico era appena nato ma niente faceva sperare in un successo di Walter Veltroni. La coalizione del centrodestra era in spettacolare recupero e pose subito l’altolà all’esecutivo uscente: non si azzardasse a fare le nomine. In teoria Prodi e Padoa-Schioppa avrebbero potuto non tener conto di quell’avvertimento. Le società in questione erano quasi tutte quotate in Borsa e le regole parlano chiaro. Invece decisero di soprassedere, lasciando al governo successivo l’incombenza di collocare le caselle al loro posto. E per la terza volta consecutiva furono gli uomini di Silvio Berlusconi a stilare la lista.
Pressioni fortissime
Il presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, rischia ora di trovarsi in un contesto del genere, se la situazione dovesse precipitare. Le pressioni per andare al voto in fretta, dentro e fuori del partito democratico, sono fortissime. Anche se in questo caso il tempo necessario a fare la legge elettorale potrebbe giocare a favore del rinnovo da parte del nuovo governo. Se così fosse sarebbe davvero improbabile immaginare una rivoluzione radicale. Va ricordato che è stata tre anni fa introdotta una disposizione per limitare a un massimo di tre mandati la presenza nei consigli di amministrazione delle società pubbliche. Una norma che dovrebbe garantire il ricambio, accompagnata da una serie di prescrizioni etiche in grado di introdurre, almeno sulla carta, elementi di moralizzazione profonda.
Matteo Renzi aveva presentato la sua tornata di nomina come l’occasione per realizzare una vera parità di genere ai vertici delle società di stato, da cui le donne sono state sempre tenute alla larga. L’offensiva femminista si è però fermata alle presidenze, senza invadere la vera stanza dei bottoni, quella degli amministratori delegati. Gentiloni e Padoan avrebbero ora l’occasione per dimostrare che si può finalmente fare un salto. Anche se come sempre si dovranno fare i conti con la realtà.
Dubbi e certezze
All’Eni è in scadenza la presidente Emma Marcegaglia. Ex presidente della Confindustria, ha avuto nel recente passato anche un rapporto d’affari con Invitalia nel settore del turismo. La sua riconferma non appare in discussione. L’amministratore delegato della compagnia petrolifera Claudio Descalzi ha dovuto affrontare tre anni forse più complicati del previsto. Ma anche lui con questo governo sembra saldissimo.
Idem l’amministratore delegato dell’Enel Francesco Starace, il quale fa parte di un consiglio di amministrazione presieduto da Patrizia Grieco. Saldo in sella alle Poste italiane pare Francesco Caio, con Luisa Todini presidente. E se su Mauro Moretti incombe la richiesta di una condanna penale per l’incidente di Viareggio di sette anni fa, quando era alla guida delle Ferrovie dello Stato, non sorprenderebbe affatto una conferma del presidente di Leonardo (il nome nuovo di Finmeccanica) Gianni De Gennaro, ex capo della polizia ed ex sottosegretario a palazzo Chigi. Incrociano le dita tutti. Va da sé che con un nuovo governo il panorama potrebbe cambiare profondamente.
Corriere Economia – 19 dicembre 2016