Il Salvagente. Dal ministero della Salute prima si intima che le carni di pollo con salmonelle “non rilevanti” siano destinate solo a prodotti precotti, visto che causano il 30% delle tossinfezioni. Poi si fa dietrofront. Ma il problema resta.
Un passo in avanti e subito uno indietro: il ministero della Salute il 15 febbraio annuncia (vedi foto sotto) una stretta sulla presenza di salmonelle minori sulla carne di pollo fresca: in caso di contaminazione, spiega una nota del dicastero, la carne non può essere venduta tal quale ma deve essere destinata “alla produzione di prodotti a base di carne trattata termicamente”. In altre parole deve essere scartata e usata per preparazioni precotte. In poche ore scatta una levata di scudi da parte della filiera avicola: il 50% del pollo in vendita rischia di essere ritirato perché non conforme. E in effetti in quei giorni non mancano i richiami alimentari.
A quel punto, siamo al 26 febbraio, appena 10 giorni dalla paventata stretta, il ministero della Salute innesta la retromarcia: con una circolare ad hoc (foto in basso), destinata alle Regioni e all’Istituto superiore della sanità, si appresta a smentire la precedente: “La nota non rappresenta un atto finalizzato a dare disposizione al territorio”. In sostanza si tratta di una fase di valutazione, non ancora definitiva. È evidente, però, che il ministero contraddice sé stesso: il pollo che dovesse avere salmonelle minori può essere tranquillamente venduto, a patto di portare l’avvertenza in etichetta “da consumarsi previa cottura”.
Soddisfatte le aziende: “Su salmonelle minori c’è indicazione in etichetta sulla cottura”
Soddisfatta Una Italia, l’Unione nazionale filiere agroalimentari carni e uova che al Salvagente spiega: “Su questo tema alcuni giorni fa si è generata un po’ di confusione per via di una nota del ministero della Salute che, tuttavia, è stato chiarito subito dopo, aveva unicamente valore di scambio interno e non aveva valenza di circolare attuativa sul territorio. Ad oggi dunque si continua a operare sulla base delle norme vigenti e delle circolari emesse dal ministero. Quest’ultimo ha reso noto che intende lavorare a una successiva circolare che dovrebbe chiarire alcuni problemi interpretativi sul territorio. Nel caso delle salmonelle minori il regolamento comunitario di riferimento è chiaro sul fatto che si tratti di un problema da gestire come criterio di igiene di processo e che l’operatore è tenuto a verificare di aver adottato tutte le misure necessarie per contenere il rischio ed abbia indicato in etichetta le diciture relativa alle modalità di cottura”.
Tutto risolto, quindi? Nient’affatto visto che dalle nostre analisi risulta che su 24 campioni (dai marchi storici come Aia, Amadori, Fileni, Vallespluga alle private label di Coop, Conad, Esselunga, Carrefour, Todis, Lidl, MD, Eurospin e via elencando) di pollo analizzati in laboratorio ben 7, quasi un terzo, presentano salmonelle.
E il problema è ancora più evidente se consideriamo che il 30% delle salmonellosi umane, come indica l’Istituto superiore di sanità, sono causate dalle cosiddette salmonelle minori. Salmonelle che, come scrive il ministero alle Regioni, “possono essere spesso all’origine di fenomeni di resistenza agli antimicrobici e di diffusione di questo carattere ad altri sierotipi”. Possiamo star sicuri del pollo in vendita oppure è il caso di procedere a una stretta per garantire ancora di più i consumatori? La risposta a noi appare scontata.
Come abbiamo condotto il test
In laboratorio abbiamo portato 24 campioni di carne di pollo fresco (venduto in busto, come petto intero o a fette) acquistate nei principali supermercati e discount per valutare la presenza di salmonella Spp. Tutto il pollo analizzato è di origine italiana come riportato sulle etichette. A differenza dei nostri test, nelle tabelle pubblicate nel nuovo numero, non si troveranno i giudizi finali accompagnati dai classici “pollicioni”. Il motivo è spiegato nei paragrafi sopra: non è ancora chiaro, nonostante la retromarcia del ministero della Salute, se la presenza di salmonelle minori sia condizione sufficiente per decretare la non conformità del prodotto e quindi per escluderlo dal commercio tal quale. A causa di questo “giallo” ci siamo limitati a riportare l’assenza o la presenza delle salmonelle Spp. I campioni questa volta sono stati pubblicati seguendo – una vera eccezione per il Salvagente – l’ordine alfabetico dei marchi. L’unico discrimine ovviamente è la presenza o l’assenza dell’agente patogeno rilevato.
Salmonelle
I risultati mostrano la contaminazione da salmonella in sette campioni su 24. Non siamo in grado di stabilire quali salmonelle, maggiori o minori, siano state isolate: quando è emersa la “polemica” sulla nota del ministero abbiamo subito avviato il campionamento e le analisi che hanno i loro tempi specialmente se parliamo di coltura batterica. Tuttavia la tipizzazione della salmonella rilevata è, mentre abbiamo chiuso il numero in tipografia, in corso e non appena avremo i dati ne daremo notizia e ci confronteremo con i marchi coinvolti.
È lecito ritenere che non siano presenti le salmonelle maggiori e rilevanti, come le Tiphymurium e Enteritidis, le quali da sempre devono essere assenti nella carne di pollo per il loro elevato impatto sulla salute del consumatore. Più facile, ma questo potremmo confermarlo solo dopo il supplemento di analisi, che si possa trattare di salmonelle minori – non rilevanti sulle quali non è esclusa prossimamente una stretta sanitaria. Correttamente su tutte le etichette viene riportato l’avvertenza obbligatoria di mangiare le carni previa cottura.
Tipo di allevamento
Nelle tabelle pubblicate, quando viene indicato dai produttori, il tipo di allevamento. Un’informazione utile ma non obbligatoria che però sempre più aziende scelgono di condividere con i consumatori. Nel nostro panel purtroppo domina la scarsa trasparenza (16 su 24 non indicano alcuna informazione) ma in 8 casi possiamo sapere come sono stati cresciuti i “nostri” polli: due in modo biologico e sei invece sono allevati a terra. Un’informazione quest’ultima che potrebbe essere riportata anche da chi non la indica perché è la condizione minima di allevamento.