Superfici coltivate, operatori e consumi biologici continuano a registrare incrementi a due cifre. Ma la riforma comunitaria del settore è «congelata» a Bruxelles: l’accordo politico Ue sulla proposta presentata dalla Commissione quasi quattro anni fa, raggiunto faticosamente da Consiglio e Parlamento a fine giugno, sembra ora infatti scricchiolare. Il regolamento, con norme finalizzate a rafforzare e uniformare la produzione europea per fare fronte al pressing crescente delle importazioni, di fatto deve essere ancora scritto. Rallentato da un governo tedesco che dopo oltre un mese dalle elezioni ancora non c’è e da questioni tecniche che la stessa Germania avrebbe sollevato su controlli e residui di fitofarmaci ammissibili nei prodotti bio.
In questo scenario l’Italia – tra i primi produttori di prodotti biologici con 1,5 milioni di ettari coltivati, 60mila operatori certificati, un valore al consumo di 5 miliardi, e secondo esportatore mondiale, dopo gli Usa, con oltre 1,9 miliardi – nel frattempo va avanti. La commissione Agricoltura del Senato ha approvato il Testo unico che prevede, tra l’altro, la nascita di distretti produttivi bio, filiere «dedicate», un organismo interprofessionale, corsi di formazione e un fondo per la ricerca. «Un testo molto condiviso per il quale ora aspettiamo la calendarizzazione in Aula», ha spiegato la relatrice, Maria Teresa Bertuzzi, lasciando intendere che per il via libera definitivo alla nuova legge è ormai questione di giorni.
Del resto, come ha spiegato il presidente di Confagricoltura, Massimiliano Giansanti, in un workshop organizzato con Kyoto Club, «quello del biologico non è più un mercato di nicchia e in futuro aumenterà certamente la richiesta di prodotti a forte valore aggiunto, come quelli di origine vegetale e animale, dal latte, allo yogurt, ai formaggi. Ma non bisogna dimenticare che sposare il biologico significa sposare un’idea e non inseguire una moda, o una promessa di maggior peso economico delle produzioni».
Intanto, le politiche nazionali ed europee hanno favorito la crescita di questo settore anche per il valore che ha nella mitigazione dei cambiamenti climatici. Come sta dimostrando il progetto 2015-19 «Life+ Organiko» di Kyoto Club cofinanziato dall’Unione europea. In Italia sono state adottate politiche per incentivare il passaggio al biologico di numerosi allevamenti condotti con metodi convenzionali. Una prova arriva dal gruppo di lavoro di Federbio, composto da veterinari, rappresentanti degli enti certificatori, dei produttori e della società civile che ha predisposto le linee guida sui criteri da adottare per una corretta gestione degli allevamenti zootecnici. Tra i punti cardine l’obbligo di pascolo per almeno 120 giorni l’anno e l’utilizzo di razze a lento accrescimento, con uno standard di benessere animale superiore ai requisiti attuali.
Il Sole 24 Ore – 30 ottobre 2017