La longa manus della politica nella sanità pubblica non è certo una novità e le nomine ai vertici delle aziende rispondono, puntualmente, a criteri di spartizione. Ora però ai direttori generali è il riservata una sorte paradossale, quasi da arlecchini servitori di tre padroni. Tanti, secondo quanto prevede il nuovo Piano socio-sanitario, sono i referenti ai quali i manager (il cui mandato è ridotto da cinque a tre anni) dovranno rendere conto: la giunta regionale per ciò che riguarda il budget di spesa; il consiglio regionale sul fronte della programmazione sanitaria; e la conferenza dei sindaci del rispettivo bacino per la valutazione della qualità dei servizi. Una frammentazione decisamente abnorme, che riflette la volontà dei soggetti coinvolti di mantenere uno zampino nel grande business sanitario.
Sì perché il governatore Zaia, in attesa dell’approvazione del Piano e della discussione delle schede, ha congelato le poltrone in scadenza fino al 31 dicembre. I nodi, però, stanno per giungere al pettine. La Lega – Flavio Tosi in testa – è decisa a fare la parte del leone e l’alleato pidiellino prova a cautelarsi rafforzando i poteri del consiglio (dove gode di maggiore spazio di manovra) il cui parere sulle nomine diventa vincolante per la giunta. Qualche briciola, come consueto, andrà anche all’opposizione, accusata di «inciucio» dal consigliere nordista Diego Bottacin per l’atteggiamento, ritenuto troppo accomodante, mantenuto in sede di esame del Piano nella V commissione.
nella foto un gruppo di direttori generali delle Ulss venete insieme al segretario Domenico Mantoan
Il Mattino di Padova – 24 giugno 2012