Una norma “pasticciata” sotto la lente di Bruxelles. Per avere l’esenzione totale basta che all’interno dell’immobile a uso commerciale ci sia anche una piccola struttura destinata al culto
Ma la Chiesa l’Ici la paga oppure no? E se la dovesse pagare su tutti gli immobili ora esentati quale sarebbe il gettito previsto di un’operazione del genere? La polemica impazza e la confusione è davvero tanta.
Come riassume nella sua «inchiesta» on line Arianna Ciccone, sul sito «viola» valigiablu.it, l’introduzione dell’Ici risale al 1992 ma da allora il legislatore ha previsto molte correzioni. Da subito erano previste esenzioni che riguardavano non solo la Chiesa cattolica, ma anche tutti gli immobili utilizzati da «enti non commerciali», il cosiddetto non profit (associazioni, enti, comunità, circoli culturali, sindacati, partiti politici, ecc.) «destinati esclusivamente allo svolgimento di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive».
Nel 2004 la Cassazione, prendendo spunto da una caso legato ad un pensionato studentesco, introduce una prima novità e cancella l’esenzione per gli immobili, appartenenti ad un ente ecclesiastico, «destinati allo svolgimento di attività oggettivamente commerciali». Insomma, l’etichetta «non profit» non basta più a garantire l’esenzione: non deve esserci traccia alcuna di attività commerciale o economica. Nel 2005 lo Stato corre ai ripari e con una prima «interpretazione autentica» ripristina l’impostazione originaria della legge. Ma «questa impostazione – ricorda Ciccone, che per mettere le cose in chiaro si professa “non credente” – viene impugnata di fronte alla Commissione europea e denunciata come “aiuto di Stato”: gli enti non commerciali che svolgono quelle attività socialmente rilevanti sono comunque da considerare “imprese” a tutti gli effetti, e dunque l’esenzione costituirebbe una distorsione della concorrenza nei confronti dei soggetti (società e imprenditori) che svolgono le stesse attività con fine di lucro soggettivo». La palla a questo punto passa al governo Prodi che, con un decreto a firma dell’allora ministro dello Sviluppo Pierluigi Bersani, introduce un nuovo concetto, quello di attività «non esclusivamente commerciale» e affida ad una commissione del ministero dell’Economia la definizione dei dettagli.
A Bruxelles la precisazione basta e la procedura contro l’Italia viene archiviata. I Radicali non demordono e chiamano in causa direttamente la Corte di giustizia di Lussemburgo. A sua volta, il nuovo Commissario alla concorrenza Almunia riapre il fascicolo sui possibili «aiuti di Stato». Entro maggio 2012 Bruxelles dovrà decidere se assolvere o condannare l’Italia con multa ed eventualmente porre fine ai privilegi e disporre il rimborso all’erario delle tasse non pagate in cinque anni dagli enti ecclesiastici» ricorda «valigiablu». Intanto, la questione Ici-Chiesa ha fatto capolino anche nella legge dell’agosto 2010 sul federalismo fiscale: introducendo la nuova imposta unica municipale il governo Berlusconi aveva deciso di togliere l’esenzione Ici su ospedali, scuole e alberghi a partire dal 2014. Poi, sono insorti dubbi interpretativi e si è tornati alla norma precedente.
A quanto ammonta il patrimonio della Chiesa in Italia? Si parla di circa 100 mila immobili, di questi 9 mila sono scuole, 26 mila strutture ecclesiastiche e quasi 5 mila strutture sanitarie. Per l’Agenzia delle entrate significa un potenziale introito di due miliardi di euro all’anno. Stime che risalgono al 2005 fatte dall’Anci, l’Associazione dei Comuni, ridimensionano questa cifra a 400 milioni che oggi, con le rivalutazioni decise col decreto Salva-Italia salgono a 700 milioni. Altri parlano di un miliardo. Solo a Milano denunciavano ieri i Radicali esistono 17 strutture ricettive che si dichiarano esenti dall’Ici (dalla Casa del Clero Domius Mater Ecclesiae a due immobili del Centro salesiano Paolo VI a diversi pensionati femminili gestiti da suore) e altre 23 che non fanno dichiarazione. A Roma il Popolo viola parla di 306 immobili tra case di accoglienza, case per ferie, domus, hotel e istituti vari Ici-esenti. Tra questi l’albergo Giusti, l’hotel Domus Pacis, l’hotel Villa Rosa.
La confusione è tale e tanta che il nuovo presidente dell’Anci, il reggiano Graziano Delrio, dalle colonne dell’Unità ieri ha proposto un censimento generale per avere «un quadro preciso». E poi spiega: «Laddove è chiaro il carattere commerciale delle attività svolte in un immobile, per quei locali l’Ici va pagata. Se di fianco a un santuario c’è un bar, non credo che questo sia funzionale al culto».
La Chiesa cosa dice? Come risponde a questa nuova campagna? In Vaticano si fa notare che all’origine della controversia c’è l’eccessivo margine di interpretazione consentito dalla distinzione tra attività «commerciali» e «parzialmente commerciali». Anche per questo la battaglia dell’Ici è fatta più di parole che di numeri: alla stima dei 700 milioni di euro di esenzione non corrispondono «contro-cifre» da parte della Cei.
Lastampa.it – 9 dicembre 2011