Nonostante raccomandazioni consolidate richiedano che gli operatori sanitari ricevano vaccinazioni contro le malattie prevenibili, l’aderenza ai programmi di routine è spesso “non ottimale”
Ogni giorno circa 59 milioni di operatori sanitari in tutto il mondo sono esposti a molteplici rischi biologici professionali, attraverso il contatto con pazienti infetti e con fluidi e materiali contaminati. Nonostante raccomandazioni consolidate richiedano che gli operatori sanitari ricevano vaccinazioni contro le malattie prevenibili, l’aderenza ai programmi di routine è spesso “non ottimale”. È quanto emerge da una stima dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms). La sottostima della gravità della malattia, ma anche l’accesso limitato alla vaccinazione – elencano gli autori dello studio – sono tra le principali ragioni della non adesione. Inoltre, il timore degli effetti collaterali e la disinformazione o i dubbi sull’efficacia dei vaccini sembrano influenzare negativamente i comportamenti vaccinali del personale sanitario. Anche i ruoli professionali e gli ambienti di lavoro possono avere un peso. Una bassa copertura vaccinale è più frequente tra gli assistenti sanitari e gli infermieri che tra i medici. Gli operatori che lavorano in ambito ospedaliero generalmente hanno una maggiore aderenza alla vaccinazione e forse i vaccini sono più facilmente accessibili negli ospedali che in contesti comunitari. È quanto analizzato da uno studio pubblicato su ‘Eurosurveillance’. Si tratta di una revisione sistematica e una metanalisi firmata da ricercatori italiani di diversi atenei e istituzioni: università di Torino, Roma La Sapienza, Milano-Bicocca, Aou Città della salute e della scienza di Torino.
Gli operatori sanitari vaccinati hanno maggiori probabilità di essere informati sulle vaccinazioni e di essere efficaci anche nel migliorare la fiducia delle persone nella vaccinazione. Alcuni studi rilevano proprio questo aspetto: i pazienti e le loro famiglie considerano gli operatori vaccinati la fonte più affidabile sul tema e questi hanno un’influenza positiva sulla loro adesione e fiducia nelle vaccinazioni. Durante la pandemia di Covid, il coinvolgimento dei sanitari nella definizione di programmi vaccinali ha svolto un ruolo chiave nel facilitare l’adesione tempestiva e nel contenere la diffusione del virus. Pertanto, prosegue il ragionamento dei ricercatori, “sono necessari interventi mirati per aumentare l’adesione” di queste categorie. Una migliore comprensione di questi interventi “potrebbe migliorare le future campagne di vaccinazione e massimizzare le risorse sanitarie”. L’analisi degli esperti si è concentrata su vari aspetti. Per esempio, la componente informativa di un intervento, cioè strumenti istruttivi o di aiuto alla decisione come volantini o opuscoli che forniscono informazioni essenziali basate sull’evidenza. Sono poi stati definiti promozionali gli interventi che includevano la promozione attiva dell’educazione sui vaccini attraverso ampie campagne che includevano strategie operative come attività comunicative o promozionali. C’era poi la modalità educativa, quando l’intervento mirava a cambiare le conoscenze o gli atteggiamenti degli operatori sanitari, o applicava metodologie come giochi di ruolo o modelli video. Infine, le policy: interventi che proponevano programmi, attività o azioni obbligatorie”. Risultato: è emerso che gli interventi multicomponente hanno avuto un effetto positivo, statisticamente significativo, maggiore rispetto a quelli singoli. “Questa metanalisi ha evidenziato quali elementi potrebbero essere utili per promuovere una maggiore aderenza alla vaccinazione (per vaccini anti-influenza e Tdap in particolare, su cui erano disponibili dati). La ricerca futura dovrebbe guidare i decisori nel determinare i contesti più efficaci per l’implementazione degli interventi”, concludono gli autori.
“Oggi noi stiamo tornando alla fase pre-Covid, in cui i tassi di vaccinazione” per esempio contro l’influenza, “non erano eccellenti. In Italia con il Covid abbiamo vissuto l’anomalia di obbligare i sanitari a vaccinarsi, pena la sospensione dall’albo, e questo meccanismo ha avuto però anche l’effetto di farci constatare sulla nostra pelle e di dimostrare che con le vaccinazioni la mortalità dei medici si è azzerata. Quindi i vaccini funzionano, i medici dovrebbero vaccinarsi, e l’obbligo non è immaginabile in una fase di non emergenza. Occorre trovare modalità – principalmente di tipo organizzativo – per far aumentare l’adesione”. È convinto che si possa fare meglio di così il presidente della Federazione nazionale degli Ordini dei medici (Fnomceo), Filippo Anelli, che – commentando all’Adnkronos Salute i dati di uno studio in cui si ragiona su come aumentare le coperture non ottimali rilevate fra gli operatori sanitari a livello globale – ammette il peso della “stanchezza vaccinale”. Che cosa si può fare per aumentare l’adesione dei professionisti della sanità? “Magari un operatore la vaccinazione antinfluenzale non la fa perché nessuno va a fargliela in reparto – prospetta Anelli – Se i medici devono andare loro a farsi la vaccinazione presso il Dipartimento di prevenzione non ci vanno. Tolto uno zoccolo duro che preferisce non farsi le vaccinazioni e basta, la maggioranza le farebbe se fosse facilitato. Quindi io direi che per aumentare le percentuali vanno trovate modalità organizzative per andare incontro ai medici e agli altri operatori sanitari, evitando qualsiasi tipo di scusa”.
Del resto, conclude, “ha funzionato quando nel 2021 si è fatto anche l’antinfluenzale nei reparti, la maggior parte lo ha fatto”. I dati sulle coperture dell’ultima stagione invernale “non ci sono ancora. E c’è anche questo da dire: la mancata tensione sulle vaccinazioni comporta anche un minor utilizzo dei dati. Ma le coperture riteniamo che quest’anno siano rimaste tutte sotto la soglia” per le varie categorie. “Abbiamo vissuto un momento di stanchezza vaccinale in generale. E non ha risparmiato nessuno, neanche gli operatori sanitari”.
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