Repubblica. In principio fu la fuga in avanti, alla fine la retromarcia. Imposta dall’Europa al governo italiano che ad agosto, con la proposta di revisione del Pnrr, aveva chiesto di ridimensionare gli obiettivi sulla lotta all’evasione fiscale. Un tentativo maldestro, che ora deve ripiegare sulla conferma degli impegni iniziali, quelli che l’esecutivo guidato da Mario Draghi aveva assicurato a Bruxelles.
E così il governo di Giorgia Meloni, autore di 17 sanatorie in 13 mesi, dovrà ridurre il tax gap, la propensione all’evasione misurata dalla differenza tra le tasse incassate e quelle attese, di 2,7 punti percentuali, dal 18,5% del 2019 al 15,8% del 2024. Numeri agganciati alla riduzione relativa del 15% del “nero”, come definito dall’indicatore della propensione all’evasione. Un risultato da certificare entro il 30 giugno 2026, come c’è scritto nell’allegato alla decisione del Consiglio europeo dell’8 luglio 2021, il documento che ha dato il via libera al Piano nazionale di ripresa e resilienza. È la stessa dicitura che compare nel testo approvato dallo stesso Consiglio lo scorso 27 novembre e che ha sancito il via libera al nuovo Piano. Pagina 102: «La propensione all’evasione in tutte le imposte, escluse l’imposta municipale unica e le accise, deve essere inferiore nel 2024, rispetto al 2019, del 15% del valore di riferimento del 2019». Un copia-incolla che per Bruxelles è un’assicurazione sull’impegno dell’Italia. Garantito dopo una trattativa che la Commissione europea ha avviato con gli uffici del ministero dell’Economia alla luce della richiesta inoltrata il 7 agosto. Appena diciotto righe per dire che «vi sono alcune ragioni oggettive che suggeriscono la modifica del target ». La motivazione? «Gli evidenti segnali di deterioramento della liquidità delle imprese italiane, con rischio di ulteriore crescita da qui al 2024, anno nel quale era stata prevista la riduzione più significativa della propensione all’evasione», si legge in un altro passaggio della proposta di revisione. Le imprese sono in difficoltà e la crisi, quindi, «può incidere negativamente sulla regolarità dei versamentitributari». A sostegno della tesi, e quindi della necessità di rivedere due target, il governo aveva anche tirato in ballo il tasso di default che a maggio, riporta lo stesso documento, «mostra un tasso di default aumentato del 360% nel primo quadrimestre del 2023 rispetto al primo quadrimestre del 2022». A spingere per il taglio degli obiettivi, raccontano fonti di governo, è statoil viceministro dell’Economia Maurizio Leo, che avrebbe riversato sul tavolo la difficoltà di controllare i target dal punto di vista amministrativo. Ma a Bruxelles non hanno affatto gradito il disimpegno.
È toccato al titolare del ministero di via XX settembre, Giancarlo Giorgetti, rimettere le cose in ordine. La missione è stata affidata a Riccardo Ercoli, suo fedelissimo, a capo della segreteria tecnica. È stato lui a trattare con i tecnici della Commissione europea, garantendo che l’Italia sarebbe ritornata sui propri passi. Forte anche delle previsioni sui risultati della lotta all’evasione nel 2020-2021, che rendono gli obiettivi del Pnrr meno difficili da raggiungere. E che permettono al governo di rilanciare, puntando a superare i target del Piano