Il Sole 24 Ore. La fase di debutto del nuovo impianto di regole fiscali europee separa il momento dell’avvio della procedura per deficit eccessivo da quello della definizione della cura per tornare al 3%. Il conto arriverà a novembre, al termine del negoziato sul Piano strutturale di bilancio da presentare entro il 20 settembre sulla base della traiettoria della spesa che Bruxelles invierà ai Paesi alla fine di questa settimana.
Ma la correzione minima dello 0,5%, «lo sforzo di aggiustamento minimo dei conti pubblici annuale per i paesi sotto procedura per deficit eccessivo» come ribadito ieri dal commissario Ue all’Economia Paolo Gentiloni, è nelle scontata. E non è una «gabbia dell’austerità», ha sottolineato Gentiloni, «perché è il momento di sostenere la crescita» e le riichieste del vecchio Patto sarebbero state ben peggiori. Allo stesso modo sono già chiare le principali obiezioni, spesso diventate ormai “tradizionali”, che l’Esecutivo comunitario muove all’Italia nelle 96 pagine delle Raccomandazioni pubblicate ieri dalla Commissione.
Lo scenario è quello, noto, di un Paese che vede tornare a crescere il rapporto fra debito e Pil e quindi ha «chiaramente bisogno di ulteriori azioni per ridurlo». A complicarlo c’è però anche una delle dinamiche demografiche più fredde del mondo, che promette di spingere le spese per pensioni e assistenza mentre si riduce la platea della popolazione attiva.
In un contesto del genere, la ricetta comunitaria chiede di «aumentare la concorrenza e migliorare la regolamentazione» per aiutare la crescita in molti settori, in una direzione verso cui dovrà spingere anche la riforma del sistema fiscale «con particolare attenzione alla riduzione del cuneo fiscale sul lavoro». Su quest’ultimo aspetto gli orizzonti di Bruxelles e di Roma sembrano convergere, al netto di importanti questioni aperte sul merito di alcuni meccanismi, a partire dalle rivalutazioni dei valori catastali al centro dell’agenda comunitaria e delle idiosincrasie del centrodestra italiano. Mentre sulla concorrenza gli ostacoli sono ancora rappresentati dalla protezione di alcune categorie, a partire dai soliti balneari.
Ovviamente il destino dell’economia e delle finanze pubbliche italiane non si gioca solo sulle spiagge. Ma anche qui sono in discussione i principi, ribaditi dall’Esecutivo comunitario, di «una maggiore concorrenza e una migliore regolamentazione settoriale» che secondo Bruxelles «avvantaggerebbero i consumatori e migliorerebbero le finanze pubbliche, contribuendo ad affrontare le vulnerabilità dell’Italia legate all’elevato debito pubblico e alla debole crescita della produttività». Gli eterni ritardi «nell’attuazione di procedure di aggiudicazione trasparenti e competitive per le concessioni, così come la loro mancanza di redditività per le autorità pubbliche, rimangono motivo di preoccupazione, in particolare dato che i miglioramenti iniziali apportati con la legge annuale sulla concorrenza 2021 sembrano essere stati ostacolati dai successivi interventi legislativi».
Lo stallo sui balneari è solo uno dei fronti aperti che intrecciano il Pnrr, che proprio dal lato delle riforme dovrebbe fornire l’incidenza maggiore sulla crescita italiana nel lungo periodo (9,6 punti secondo l’Upb). Proprio per questo, giudica la Commissione, per Roma «mantenere il ritmo di attuazione del Pnrr resta essenziale e ulteriori sforzi politici sarebbero utili» per evitare qualche “rilassamento” sugli obiettivi di fondo che rischia di farsi largo.