Paolo Baroni. Far costare di più i contratti precari rispetto alle assunzioni a tempo indeterminato: l’idea non è nuova, ma questa volta grazie alla prossima legge di Bilancio potrebbe diventare legge dello Stato. È un’idea che l’ex ministro del Lavoro Maurizio Sacconi definisce subito «folle» ma che ovviamente piace ai sindacati: per il segretario della Cisl Annamaria Furlan questa è infatti «la strada da seguire per stabilizzare le assunzioni». Del resto, anche gli ultimi dati forniti giovedì dall’Inps ci dicono che l’occupazione continua sì a salire (1 milione di posti in più nei primi 7 mesi dell’anno), ma anche che meno di un nuovo occupato su 4 (il 24,2% per la previsione) ha ottenuto un contratto a tempo indeterminato.
La leva del prelievo Naspi
L’ipotesi su cui ragionano i tecnici prevede un rialzo dell’aliquota contributiva aggiuntiva prevista nei contratti a tempo determinato destinata a finanziare la Nuova assicurazione sociale per l’impiego (la Naspi) che oggi è pari all’1,4%. Un aggravio contributivo che dovrebbe quindi agire come deterrente spingendo le imprese verso rapporti di lavoro «fissi» più convenienti. La questione è stata discussa anche al tavolo governo-sindacati che da mesi si confrontano sulle pensioni ed i problemi del lavoro. Il tema, a quanto si apprende, non sarebbe però stato ancora oggetto di approfondimento anche se c’è già chi propone il raddoppio secco della attuale aliquota Naspi, dall’1,4 al 2,8%.
I nuovi conteggi
Ieri intanto l’Istat ha reso noti i conti economici nazionali relativi al 2015-2016 presentando una significativa revisione (per fortuna al rialzo) del Pil 2015, che passa da 1672 miliardi a 1680,5 e quindi cresce dell’1% anziché dello 0,8. Quindi ha confermato il +0,9 del 2016, rivisto al rialzo (dal 2,4 al 2,5) il deficit dell’anno passato per effetto del ricalcolo di una serie di voci di entrata e di spesa, ed ha ritoccato al ribasso sia il rapporto debito/pil che la pressione fiscale. La prima voce scende infatti dal 132,6 al 132%, la seconda passa dal 43,2 al 42,9%. Quanto basta per guastare i programmi del governo che proprio ieri contava di approvare in Consiglio dei ministri la Nota di variazione del Def, passaggio obbligato in vista del varo della legge di bilancio 2018. Derogando alla prassi corrente giovedì il ministero dell’Economia aveva ottenuto dall’Istituto di statistica la possibilità di disporre in anticipo delle tavole coi nuovi dati, cosa mai avvenuta in precedenza. Ma nonostante ciò il lavoro, evidentemente più complicato del previsto, non ha consentito al Tesoro di presentare l’aggiornamento del Def. Niente Consiglio dei ministri, dunque, che tra l’altro fino all’annuncio del rinvio dato in mattina dal ministro Galletti ieri non era stato nemmeno formalmente convocato. Se ne riparla probabilmente oggi.
Più Pil, meno debito
Sino alla vigilia il Tesoro, oltre a dare per scontato l’aggiornamento a +1,5% della crescita di quest’anno, contava di fissare per l’anno prossimo l’asticella del deficit all’1,7-1,8% (rispetto all’1,2% stimato a marzo) con un debito finalmente stabilizzato se non addirittura in calo di qualche decimale per la prima volta dopo anni. Scenario che ora alla luce dei nuovi calcoli Istat appare decisamente più probabile.
La Stampa – 23 settembre 2017