La decisione era nell’aria da più di un anno ma ieri il Parlamento, con il parere favorevole del Governo, ha approvato definitivamente un nuovo vincolo su alcune bibite, tra cui le «aranciate», applicabile a chi produce in Italia.
La nuova norma prevede che le aranciate contengano almeno il 20% di succo (prima il limite massimo era il 12%) con l’obiettivo evidente di favorire gli agricoltori e i produttori italiani di agrumi. Non a caso è stata Coldiretti a esultare maggiormente per questa vittoria. Di contro, però, la decisione solleva le proteste di Assobibe, l’associazione di Confindustria che rappresenta i produttori di bevande analcoliche. «La scelta di discriminare e penalizzare la produzione made in Italy — attacca il presidente di Assobibe, Aurelio Ceresoli — rimane incomprensibile per tutte le aziende che producono, investono e creano occupazione in Italia. Un caso di autolesionismo, anziché di tutela delle industrie nazionali e dei loro lavoratori. C’è da riflettere su uno Stato che impone una ricetta in maniera arbitraria e vieta la produzione in Italia di aranciate apprezzate da decenni, senza alcuna evidenza scientifica o motivi di tutela della salute dei consumatori. In questo modo si rischia di vanificare investimenti significativi realizzati in Italia nel corso degli ultimi decenni e condizionare anche quelli futuri».
Anche l’Istituto Bruno Leoni, qualche mese fa, aveva divulgato uno studio secondo il quale l’aumento della percentuale di frutta contenuta nelle bevande analcoliche avrebbe indotto molte di loro a negoziare prezzi più vantaggiosi con venditori stranieri meno cari, per esempio gli spagnoli e i nordafricani. Inoltre, non è escluso che le stesse imprese italiane trovino più conveniente delocalizzare i propri impianti in altri Paesi europei dove non sarebbero sottoposte agli stessi vincoli.
In base alla nuova legge, infatti, l’aranciata deve contenere il 20% di frutta soltanto se si produce in Italia, se invece la bibita arriva da qualsiasi Paese appena fuori dai nostri confini, resta valido il vecchio 12%. «Non è vero, né dimostrabile — aggiunge Ceresoli — che l’aumento al 20% si tradurrà automaticamente in un maggior impiego di forniture di succo solo italiano. Infatti più si indebolisce la quota di mercato di bibite made in Italy a favore di quelle prodotte all’estero, minori saranno le forniture di succo italiano».
Con il rischio concreto che le arance si rivelino molto amare per i coltivatori italiani.
Isidoro Trovato – Corriere della Sera – 22 ottobre 2014