di Diego Gabutti. Non si hanno sempre le idee molto chiare sulle epidemie. Giornali e tv tendono a ingigantire notizie in sé già abbastanza drammatiche, ma gli specialisti di malattie infettive, che ne studiano le strategie biologiche, non se ne lamentano. Anzi, le idee poco chiare in fatto d’epidemie e pandemie aiutano la ricerca, come scrive David Quammen in un grande libro, Spillover. L’evoluzione delle pandemie (Adelphi 2014, pp. 608, 29,00 euro). Area di contagio, Rizzoli 1995, un best seller apocalittico dei primi anni Novanta sul virus ebola, pieno di dettagli macabri e approssimazioni scientifiche, allarmò a tal punto l’opinione pubblica americana da far piovere fondi per la ricerca in tutti i laboratori specializzati.
Nel racconto di Preston le emergenze virali da ebola ricordano «la Maschera della Morte Rossa — più un racconto d’Edgar Allan Poe che un referto medico. È mio dovere», scrive Quammen, «avvertire che queste descrizioni non sono da prendere alla lettera — almeno non come il tipico decorso d’un caso di ebola. Le testimonianze degli esperti, sia gli articoli sia le comunicazioni orali, smorzano il grand-guignol di Preston in certi punti particolarmente truci, senza tuttavia minimizzare l’orrore del male in termini di morti e di sofferenze reali».
Con le epidemie che si diffondono su scala planetaria resta insomma il fatto che, proprio come l’allarmismo non viene sempre per nuocere, anche ogni allarme è giustificato: le zoonosi da virus, cioè le infezioni virali trasmesse da animali, come ebola, non si combattono facilmente e hanno la tendenza a ripresentarsi periodicamente. Ebola, che si manifestò per la prima volta in un ospite umano nel 1976, da allora è tornata a battere un colpo in scenari sempre diversi: in Africa (habitat naturale), Stati Uniti e in Europa.
Viaggia in classe turistica, di solito in compagnia di qualcuno che ha contratto il virus in un ospedale, oppure in un laboratorio. Così gli altri virus. Arrivano con i morsi d’un macaco (come l’herpes B, attivo negli zoo safari, non meno pericoloso di ebola) o con le secrezioni di certi pipistrelli. Nei primi anni Trenta un virus zoonotico che provocò decine di morti nel Maryland e in altre zone degli Usa aveva come animale serbatoio i pappagallini. Vent’anni fa, in Australia, furono i cavalli a contagiare col virus hedra gli allevatori e le loro famiglie. Un virus zootico trova sempre la strada per tornare sulla scena.
Ogni volta ebola «salta fuori da chissà dove, causa morte e distruzione e sparisce senza farsi trovare in nessun luogo», a parte «l’organismo dei malati. È come Zorro, Jack lo Squartatore, Fantomas: pericoloso, invisibile, inafferrabile. Non sappiamo dove si nasconda», ma dobbiamo scoprirlo. Due domande sono «rimaste senza risposta riguardo a ebola. La prima è di tipo ecologico: in quale creatura vivente si nasconde, qual è l’ospite serbatoio. La seconda è geografica: come è distribuito il virus nel territorio africano. Ma rispondere al secondo interrogativo potrebbe rivelarsi impossibile, finché non si identifica il serbatoio e non si conosce la sua distribuzione. Nel frattempo», scrive Quammen, «i soli dati che abbiamo sulla posizione di ebola sono i punti della carta geografica», sempre più numerosi, «in cui sono scoppiate le epidemie tra gli esseri umani.
Già autore d’un importante reportage sulle grandi belve, Alla ricerca del predatore alfa, Adelphi 2005, Quammen racconta la storia dei focolai epidemici, e dei rischi di pandemia, braccando i virus più tosti e pericolosi, mettendone a fuoco le strategie virali, incontrando medici e scienziati, raccontando la storia dell’Aids dal primo Novecento (tutto inizia con «un singolo evento accidentale nel Camerun attorno al 1908») ai nostri giorni e la caccia al «Next Big One, la prossima grande epidemia», da parte degli «epidemiologi di ogni parte del mondo», che «ne ragionano, ne parlano. Mentre fanno esperimenti o studiano le pandemie del passato, il Big One ha sempre un posticino nei loro pensieri».
La grande pandemia più recente è l’Aids. A oggi le cifre parlano di 30 milioni di morti, 34 milioni di sieropositivi o malati e nessuna cura risolutiva dietro l’angolo. Anche la poliomielite fu una grande epidemia, perlomeno in America. La più grande epidemia del Ventesimo secolo fu l’influenza spagnola del 1918-19. (_) Morale: in una popolazione in rapida crescita, con molti individui che vivono addensati, , l’arrivo di una nuova pandemia è solo questione di tempo».
ItaliaOggi – 24 ottobre 2014