Possibile patto governo-Confindustria-Abi per partire il 1° gennaio. Chi guadagna 2 mila euro potrebbe avere un bonus di 80 euro. Il Tfr in busta paga, a partire da gennaio. Il governo ci lavora dalla scorsa estate, anche se al ministero dell’Economia «non se ne è mai discusso» e «non esiste un piano», dicono in coro viceministri e sottosegretari. Ma ieri il premier Renzi l’ha ufficializzato, alla direzione del Pd.
Aggiungendo subito che occorrerà «un protocollo tra Abi, Confindustria e governo» che consenta di «attingere» agli strumenti messi a disposizione dalla Banca centrale europea per compensare le piccole e medie imprese della inevitabile sottrazione di liquidità, «soprattutto quelle sotto i dieci dipendenti».
Ad optare per più denari subito, anziché (rivalutati) poi, alla fine del percorso professionale, saranno per ora i lavoratori privati.
Esclusi gli statali, dunque. Ma anche con buona probabilità coloro che hanno scelto di depositare il Tfr nei fondi pensione, anziché lasciarlo in azienda (per non mettere a rischio il processo di accumulo di pensioni integrative). L’ipotesi allo studio dei tecnici prevede un anticipo del 50% della liquidazione che si matura in un anno. A spanne, chi guadagna 2 mila euro netti al mese, ne riceverà 80. La misura parte come annuale, ma potrebbe essere estesa al triennio. Molti i problemi aperti. Il primo è fiscale. Il Tfr ad oggi gode di un trattamento privilegiato, la tassazione separata. Se finisce in busta paga, si cumulerà con la parte restante del reddito, contribuendo ad alzare l’aliquota marginale Irpef? Si pagheranno cioè più tasse? Al momento nulla si sa. L’ostacolo è però aggirabile con la ritenuta alla fonte, ad esempio. Oppure considerando quell’anticipo come acconto sul Tfr finale, dunque tassato allo stesso modo (agevolato).
Poi c’è la questione della sostenibilità finanziaria dei bilanci dell’Inps e delle piccole e medie imprese. Le aziende con più di 50 dipendenti girano il Tfr “inoptato” (quello che i lavoratori decidono di lasciare nell’impresa) a un fondo del Tesoro gestito dall’Inps.
Mentre quelle sotto i 50 dipendenti, lo trattengono in cassa. Cosa succede se i lavoratori decidono di chiedere l’anticipo in busta paga? Un “buco” in entrambi i bilanci: quello dell’Inps, pubblico (da ripianare con un intervento di copertura dello Stato)e quello delle pmi (di qui la necessità di un “protocollo” con le banche per usare i denari della Bce). Non a caso ieri sera, dopo l’annuncio di Renzi, Rete imprese bollava l’operazione come «impensabile» per l’impossibilità delle piccole aziende di «sostenere ulteriori sforzi finanziari» e di «indebitarsi per alimentare i consumi dei propri dipendenti». Su 22-23 miliardi di flusso annuo di Tfr, 11 miliardi restano in azienda, 6 finiscono nel fondo di tesoreria, 5 e mezzo ai fondi pensioni. Con l’ipotesi del 50% del Tfr in busta paga, otto miliardi e mezzo potrebbero finire dunque negli stipendi. Quasi l’ammontare del bonus da 80 euro. «Io sono perché si alzi il salario dei lavoratori», dice non a caso Renzi. E tutto fa brodo, anche il “salario differito”, per uno «scatto ulteriore del potere di acquisto».
Repubblica – 30 settembre 2014
Col Tfr in busta paga mezzo stipendio l’anno in più per le famiglie
Parte della liquidazione in anticipo per spingere i consumi Confindustria fredda: “Complicato”. Le Pmi: “Impensabile”
Marco Sodano. Il governo pensa di anticipare parte del Tfr in busta paga: quanto può valere?
Il Tfr (il trattamento di fine rapporto) accumulato equivale alla retribuzione annua divisa per 13,5. Si tratta, insomma, di una mensilità. Si è parlato di anticipare il 50% del Tfr maturato per un periodo di un anno almeno (valutando anche l’ipotesi di estendere l’anticipo per tre anni), mentre non è ancora chiaro se il governo ha intenzione di metterlo in busta spalmato sulle tredici mensilità oppure in una volta sola. Comunque sia, si tratta di una cifra che equivale grosso modo a metà dello stipendio.
Le imprese non sembrano entusiaste: perché?
Perché parte di quel denaro lo custodiscono loro e dovrebbero sborsarlo subito. Nelle pmi sotto i cinquanta dipendenti, il Tfr di chi non ha scelto un fondo pensione dopo la riforma del 2006 (ovvero la maggior parte dei lavoratori italiani) resta in azienda. Le imprese usano questo denaro per finanziarsi. L’ammontare totale annuo accumulato dagli italiani vale circa 24 miliardi (su 326 miliardi di retribuzioni). Di questi il 40% matura nelle pmi, 10,8 miliardi. Tornando all’ipotesi di mettere in busta metà della liquidazione, nelle casse – già esauste – delle piccole imprese si creerebbe un buco da 5 miliardi e mezzo. Così, se il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi è freddo e parla di «manovra molto complessa», le piccole imprese parlano di misura «impensabile. Per i lavoratori – ricorda il presidente di Rete Imprese Merletti – il Tfr è salario differito, per le imprese debito a lunga scadenza. Non si possono chiamare le imprese ad indebitarsi per sostenere i consumi dei propri dipendenti». Tanto più in un momento in cui ottenere credito è sempre meno facile.
Il premier ha parlato di usare i soldi della Bce per garantire il credito, però.
Vero: la liquidità garantita dalla Banca centrale europea deve andare alle imprese per definizione, un impiego del genere rispetterebbe lo spirito delle iniezioni decise dall’Eurotower. Bisognerà poi vedere, però, se il credito verrà concesso alle singole imprese, che andranno a chiedere il denaro in banca: visto com’è andata negli ultimi anni è legittimo che gli imprenditori abbiano qualche dubbio sugli strumenti che dovrebbero sconfiggere il credit crunch. Fino ad oggi hanno fallito tutti, nonostante ci abbiano provato in mezzo mondo.
Non è la prima volta che si parla di un anticipo del Tfr. Poi non se ne fece nulla: perché?
Nell’agosto del 2011 fu l’allora ministro dell’Economia Giulio Tremonti sondò questa possibilità. Alla fine fu scartata perché troppo complicata: come fare con chi versa il Tfr in un fondo complementare per irrobustire la pensione? E gli Statali? Nel pubblico impiego chi è stato assunto prima del 2001 non riceve il Tfr ma il Tfs (trattamento di fine servizio): l’80% dell’ultima retribuzione moltiplicato per gli anni di servizio. Fino al pensionamento non è possibile sapere quanti soldi ha diritto di ricevere ogni lavoratore.
E i lavoratori? È un affare ricevere il Tfr in anticipo?
Dal 2007 – grazie a una riforma molto discussa – i lavoratori possono scegliere di non accumulare più il Tfr in azienda e di farlo confluire nei fondi pensione. Questo perché il passaggio dal sistema pensionistico retributivo (pensione calcolata sull’ultimo stipendio) a quello contributivo (calcolata su quanto accantonato nel corso della vita lavorativa), è diventato chiaro che chi è al lavoro adesso avrà pensioni molto più basse di quelle attuali: ai fondi toccherà il compito di integrare gli assegni. Un po’ di denaro disponibile subito fa comodo: ma bisogna avere ben chiaro che quei soldi non ci saranno più al momento del pensionamento. Insomma: non sono soldi in più, sono soldi in anticipo. Finiremmo con lo spendere oggi le ricchezze di cui dovremmo disporre domani: è lo stesso meccanismo del tanto vituperato debito.
Ma questi soldi in più come sarebbero tassati?
Anche qui per ora non è chiaro il meccanismo pensato dal governo: al ministero chiariscono che «non c’è ancora un piano». Sul Tfr si paga un’aliquota fiscale agevolata, più bassa di quella normale pagata sul reddito (sullo stipendio). Sull’anticipo si rischia di pagare di più: non è un affare. Tra l’altro non sarebbe neppure corretto pagare su questo denaro – che è frutto di un accumulo a scopo previdenziale – la parte di tasse che va alla previdenza.
La Stampa – 30 settembre 2014