La riforma comunitaria del biologico proposta dalla Commissione Ue due anni fa è ancora in altomare. La presidenza di turno olandese aveva detto di voler chiudere la partita entro giugno, ma fonti di Bruxelles lasciano intendere che ormai se ne parlerà nel 2017. E comunque il settore in Italia continua a crescere.
Con un valore al consumo che l’anno scorso, in base a un’indagine Nielsen, ha superato i 2,1 miliardi, con un incremento del 20 per cento. «In 25 anni il nostro mondo è cresciuto in modo tumultuoso, è un settore sano, ma ha bisogno di supporto istituzionale», ha sintetizzato a un convegno a Roma, Paolo Parisini, presidente della Federazione bio di Confagricoltura.
L’aumento della domanda, sostenuta da stili di vita più salutari e dalla ricerca di cibi più sani, non è accompagnato tuttavia da una produzione adeguata e uniforme sul territorio. Col rischio che nel sistema nazionale, tra i più stringenti per standard di qualità e controlli, inizi ad aprirsi qualche falla.
Con i Programmi di sviluppo rurale 2014-20 le regioni hanno l’opportunità di far crescere ulteriormente il settore, visto che con l’attivazione della misura 11 – per la prima volta «dedicata» alle produzioni bio – c’è anche un budget di 1,6 miliardi, pari all’8,7% della spesa totale dei Psr. Però «le regioni devono crederci e non drogare il settore concedendo contributi a pioggia. Purtroppo ci sono aziende che puntano solo agli aiuti e questo distorce il mercato creando confusione», ha avvertito il presidente nazionale di Confagricoltura, Mario Guidi. Anche perché l’attivazione delle risorse è molto difforme da regione a regione. Calabria e Sicilia, ad esempio, dedicano alla misura 11 circa il 20% delle risorse, mentre Veneto, Campania, Lombardia e Piemonte solo tra l’1,2 e il 2,5 per cento.
Da qui la necessità rimarcata dal presidente Confagri di controlli più rigorosi. «Il biologico è un settore sano – ha ribadito Guidi – anche se periodicamente ci sono stati comportamenti scorretti, legati soprattutto alle importazioni di prodotti dall’estero. Il nostro sistema d’import prevede solo l’equivalenza con quelli dei paesi extra-Ue, e non la conformità; in tal modo si permette ai produttori esteri di utilizzare metodiche di produzione che in Europa non sono ammesse. Per questo occorre modificare la normativa europea sull’accesso al mercato Ue e migliorare il sistema di controlli».
Massimo Agostini – Il Sole 24 Ore – 19 giugno 2016