Nel loro organismo sono state riscontrate le concentrazioni di Pfas e Pfoa più alte del mondo: fino a 91.900 nanogrammi per grammo di sangue. Parliamo dei lavoratori della Miteni, l’azienda di Trissino sotto accusa per aver sversato tali sostanze chimiche nelle acque, inquinando la falda di 21 Comuni veneti tra Vicenza, Verona e Padova.
I valori citati emergono dallo studio condotto dai dottori Paolo Girardi ed Enzo Merler per il Servizio epidemiologico regionale su 415 dipendenti ed ex all’opera almeno per un anno, dal 1968 in poi, nell’azienda vicentina. «Abbiamo escluso le donne, perché poco rappresentate, il personale dell’Ufficio commerciale di Milano e i contabili spostati alla società gemella Sperotto di Valdagno — spiega Girardi, che con Merler ha presentato la ricerca al convegno a tema organizzato ieri e mercoledì a Venezia dalla Regione —. Così abbiamo selezionato 415 lavoratori su 609, tutti uomini cinquantenni con mansioni diverse: si tratta di operai, magazzinieri, manutentori, tecnici di laboratorio, impiegati. Abbiamo riscontrato 79 decessi, 21 dei quali relativi a persone direttamente esposte a Pfas e Pfoa ed è una sovramortalità rispetto ai tassi di settore segnalati in Veneto. Ce ne saremmo aspettati 14, anche perché alla Miteni è vietato fumare, dal 1978 esiste la sorveglianza sanitaria e il livello scolastico dell’organico è alto, data la prevalenza di ingegneri e chimici. Invece è emerso un 50% di morti in più del previsto».
Le cause di questi 79 decessi sono diabete (4) e ipertensione (2), malattie direttamente collegate all’esposizione a Pfas e Pfoa anche secondo le indagini della Regione, e poi ischemia cardiaca, tumori a colon, stomaco, fegato (6 casi, tre volte tanto la media registrata in soggetti a contatto con sostanze chimiche), polmone, vescica, rene, linfomi, leucemie, malattie del sistema respiratorio, cirrosi, lesioni, avvelenamento e sei suicidi. «Anche quest’ultimo dato è significativo — osserva Girardi — non sappiamo infatti se a togliersi la vita siano stati dipendenti gravemente malati e lo appureremo con un altro studio, sull’incidenza di tali malattie, in corso. Questa ricerca potrà anche chiarire la correlazione tra Pfas e tumori, perché i numeri raccolti finora non sono statisticamente significativi per tale scopo. E poi la Miteni produce 200 composti chimici, quindi non sappiamo con certezza quali causino cosa». Parlano però chiaro i valori riscontrati nel sangue dei lavoratori soprattutto tra il 2000 e il 2012 (fino a 60mila nanogrammi per grammo di sangue, con il picco dei 91.900), quando la Miteni smise di produrre Pfas e Pfoa. Nel 2013, inoltre, la Regione impose la messa in sicurezza degli acquedotti, con il ricorso a filtri per la depurazione dell’acqua. Ma per avere un’idea dell’enormità della proporzione registrata nel personale della ditta vicentina, basti pensare che nella popolazione generale si riscontrano 3-4 nanogrammi di Pfas per grammo di sangue e che perfino nell’organico della Dupont, l’azienda dell’Ohio appena condannata a pagare 672 milioni di dollari per inquinamento della falda con le stesse sostanze, il valore si ferma a 9550 nanogrammi.
«I più esposti risultano gli operai del settore chimico, addetti alla produzione, alla manutenzione, all’operazione di carico e scarico delle celle elettrolitiche, quindi tutto il giorno a contatto con le sostanze inquinanti in oggetto — illustra ancora Girardi —. Anche negli impiegati sono state rilevate concentrazioni alte di Pfas e Pfoa, però si fermano a mille nanogrammi per grammo di sangue». Le conclusioni dello studio? «Sovramortalità tra tutti i dipendenti della Miteni, ma più alta tra i lavoratori esposti al Pfoa. E poi eccesso di tumori al fegato, della vescica e dei reni, eccesso di cirrosi, diabete, ipertensione tra tutti i dipendenti, ma sempre più elevato tra quelli esposti a Pfoa». Ora la ricerca continua, su campioni più estesi.
IL Corriere del Veneto – 24 febbraio 2017