Sono stati trasmessi alla Direzione Regionale Prevenzione del Veneto i risultati dello studio di biomonitoraggio di sostanze perfluoroalchiliche (PFAS) in operatori e residenti di aziende agricole e zootecniche, condotto dall’Istituto Superiore di Sanità (Iss). Tali analisi fanno parte del più ampio studio di biomonitoraggio che ha come obiettivo la definizione dell’esposizione a PFAS nei soggetti residenti nelle aree del Veneto nelle quali è stata rilevata la presenza di questi contaminanti. Scarica lo studio
La documentazione, informa la Regione Veneto, “è stata già trasmessa alla Procura della Repubblica di Vicenza che indaga sull’evento inquinante specifico, al Presidente del Consiglio regionale affinché, una volta costituiti gli organi, la ponga a sua volta all’attenzione della Commissione consigliare d’inchiesta istituita martedì scorso, e alle Ulss interessate (6 Euganea, 8 Berica e 9 Scaligera), che nei prossimi giorni provvederanno a convocare le persone sottoposta a monitoraggio per comunicare loro gli esiti”.
Lo studio è stato effettuato su 122 soggetti provenienti da vari Comuni situati nei territori di competenza di 3 differenti Ulss: 8 Berica, 6 Euganea e 9 Scaligera (ex Aziende 5, 6, 17, 20 e 21), 64 uomini e 58 donne.
I risultati ottenuti sugli “Allevatori” (operatori e residenti di aziende zootecniche) sono stati poi confrontati con quanto ottenuto nel biomonitoraggio condotto sulla popolazione generale. “Il rapporto dell’Iss – spiega la Regione – conferma la classificazione dell’esposizione e del rischio definita con le aree ad oggi delineate”
Per quasi tutte le sostanze analizzate, le concentrazioni nel siero del campione degli Allevatori (popolazione rurale) sono risultate superiori a quelle del gruppo dei Non esposti della popolazione generale (popolazione di controllo residente fuori le aree interessate).
Per otto tra queste sostanze (tra cui PFOA, PFOS e PFHxS) le concentrazioni rilevate negli Allevatori sono risultate superiori in modo statisticamente significativo anche a quelle degli Esposti della popolazione generale (popolazione residente nelle aree interessate alla contaminazione).
Considerando solo il PFOA (sostanza per cui attualmente si rilevano le concentrazioni maggiori), si è rilevato un livello mediano per il campione degli Allevatori pari a 40,2 ng/g, che confrontato con quello del campione della popolazione dell’area di esposizione, risulta doppio e marcatamente superiore al dato generale della popolazione campionata del Veneto (valore mediano Esposti: 13,8 ng/g; valore mediano Non Esposti: 1,6 ng/g).
Andando a differenziare per aree (ex Aziende Ulss) si evidenziano, come rilevato durante il biomonitoraggio sulla popolazione generale, differenze legate alla disomogeneità territoriale dell’esposizione. In particolare si hanno le concentrazioni maggiori tra gli Allevatori dell’ex-Ulss 5 e le minori nella ex-Ulss 6.
La Regione evidenzia come lo studio sottolinei quanto già sostenuto sul fatto che “il principale contributo all’assunzione di PFAS è rappresentato dall’acqua ad uso potabile”.
Il consumo di alimenti di produzione propria: quale ruolo?
Ma questo studio, ultima tranche dello screening ematico sulla popolazione residente nelle aree esposte disposto nel 2015, potrà essere utile anche a fornire informazioni sulla contaminazioni dei Pfas negli alimenti. Almeno queste sono le finalità annunciate dalla Regione.
“Poiché anche gli alimenti possono contribuire a determinare il carico corporeo di Pfas, si è ritenuto di includere nello studio anche gruppi di operatori di aziende agricole e zootecniche situate nei Comuni selezionati che presumibilmente consumano alimenti di produzione propria” è scritto nella delibera 565/2015 che aveva definito le modalità dello screening ematico.
Nella stessa delibera della Giunta regionale si legge: “Verranno selezionate 20-30 aziende zootecniche (120 soggetti residenti nelle 20-30 aziende selezionate, ndr) sulla base di una lista prodotta dai servizi veterinari delle Ulss coinvolte nelle quali ci sia un presunto significativo consumo di prodotti di produzione propria sia di origine animale (animali allevati al pascolo e a terra e prodotti derivati) che vegetale (in particolare, verdure a foglia larga e tuberi), sulle quali effettuare una ricognizione dei soggetti arruolabili e acquisire, laddove possibile, informazioni sulle concentrazioni dei Pfas in studio negli alimenti”.
E la stessa Regione in un comunicato del maggio 2015 rilevava: “Per questi ultimi (gli allevatori e gli operatori agricoli, ndr), l’uso di acque per irrigazione o abbeveramento del bestiame, nonché il consumo di alimenti autoprodotti potrebbe aver portato a un’esposizione aggiuntiva a Pfas”.
La Regione: i risultati saranno integrati con quelli del piano di sorveglianza sugli alimenti
Tornando al comunicato odierno la Regione annuncia, infatti, che i risultati del rapporto saranno poi approfonditi ed integrati alla luce delle evidenze che emergeranno dal completamento del piano straordinario di sorveglianza Pfas sugli alimenti predisposto dalla Regione del Veneto in collaborazione con l’Istituto Superiore di Sanità, attualmente in fase di esecuzione.
“In ogni caso – conclude la Regione -, anche questo specifico sottogruppo, potenzialmente iper-esposto a sostanze perfluoroalchiliche, sarà incluso nel piano generale di sorveglianza sanitaria già messo in atto dalla Regione del Veneto”. (a cura di C.Fo.)
19 maggio 2017