C’è una prima certezza su Pfas e Pfoa, le sostanze chimiche che fino al 2013 hanno inquinato la falda acquifera di 21 Comuni tra Vicenza, Padova e Verona (127mila abitanti): non si smaltiscono dal sangue nel giro di 3/5 anni, come si pensava. Ce ne vogliono almeno venti. Emerge dal convegno internazionale a tema di scena ieri e oggi a Venezia e organizzato dalla Regione, che ha presentato i risultati iniziali del monitoraggio sulla popolazione dell’area «rossa», cioè 84.795 veneti dai 14 ai 65 anni. «Abbiamo cominciato con i nati nel 2002, che abitano tra Lonigo, Sarego e Brendola — spiega la dottoressa Francesca Russo, a capo del Dipartimento di Prevenzione — l’80% dei convocati per il prelievo di sangue si è presentato. E dai primi 50 campioni analizzati dall’Arpav risulta una presenza anomala di 64 nanogrammi per grammo di sangue di Pfoa, contro l’indice di 2-3 riscontrata nei veneti residenti al di fuori dall’area contaminata.
Il dato, in linea con i 70 nanogrammi riscontrati nel 2016 in 500 abitanti di Arzignano, ci fa supporre che l’emivita di tali sostanze, responsabili dell’inquinamento dell’acqua potabile, possa essere superiore al previsto.
Dal 2013, anno in cui gli acquedotti sono stati messi in sicurezza in seguito all’allarme lanciato da uno studio del Cnr, i ragazzi esaminati bevono infatti acqua pulita».
Il Piano di sorveglianza sulla popolazione dei 21 Comuni contaminati è partito con i 14enni perchè meno associati a stili di vita scorretti, che potrebbero influenzare le analisi, e proseguirà per due anni, al termine dei quali gli interessati saranno sottoposti a nuovi controlli. Ad Arpav e Istituto Zooprofilattico il compito di esaminare i campioni, all’Istituto superiore di Sanità quello di validare i dati ottenuti. «Oltre al livello di Pfas nel sangue, misuriamo colesterolo, glicemia e altri valori — spiega Domenico Mantoan, direttore generale della Sanità — per capire se la presenza di tali sostanze possa rappresentare un quinto fattore di rischio di insorgenza di malattie croniche, insieme e fumo, sedentarietà, alcol e sovrappeso». L’esposizione a Pfas può infatti indurre alterazioni metaboliche. Monitoraggio a parte è invece previsto per i lavoratori della Miteni e per le donne in gravidanza. «Per queste ultime è già partito — rivela la professoressa Paola Facchin, direttore del Centro regionale Malattie rare — abbiamo studiato i dati relativi a 560mila gestanti, 16mila delle quali residenti nella zona rossa. In loro è emerso un aumento della frequenza di diabete gravidico, con relativo ricovero, e della gestosi. Nei 21 Comuni contaminati si è inoltre evidenziata una crescita di neonati più piccoli rispetto all’età gestazionale. Fenomeno scomparso dal 2013, anno della messa in sicurezza degli acquedotti».
Quanto ai 120 lavoratori della Miteni, Cgil, Cisl e Uil chiedono siano sottoposti, insieme agli ex dipendenti, «a un piano regionale di presa in carico, anche se non residenti nella zona rossa». «In assenza di risposte siamo pronti a manifestare davanti alla Regione insieme a tutti gli interessati — annunciano i sindacati —. La salute dei lavoratori della Miteni non dev’essere dimenticata». «Monitoriamo il livello di Pfas e Pfoa nel personale dal 2000 e da allora i valori sono scesi del 70%-80% — assicura Antonio Nardone, ad dell’azienda di Trissino —. Lo testimonia lo studio del professor Giovanni Costa, responsabile della sorveglianza sanitaria dei nostri lavoratori, che non ha rilevato correlazioni tra Pfas e patologie di alcun genere. Tra monitoraggio, depurazione e relativo acquisto di strumentazione sofisticata, caratterizzazione del territorio con perforazioni fino a 25 metri di profondità e posizionamento di due barriere idrauliche, abbiamo investito 2,5 milioni di euro, su un fatturato di 24. Dal 2011 non produciamo più Pfas nè Pfoa».
Ma cosa succede nel resto del mondo? «Ci sono altri tre casi di grave inquinamento della falda acquifera — rivela il professor Tony Fletcher, responsabile della Sanità pubblica in Inghilterra — in Ohio, in Svezia e in Germania. Io ho fatto parte della commissione scientifica autrice dello studio epidemiologico in Ohio, dove sono state esposte 70mila persone: abbiamo rilevato, per la prima volta al mondo, una correlazione tra Pfas e tumore al testicolo, al rene e colite ulcerosa. Sono in corso 3500 cause alla Dupont, azienda responsabile dell’inquinamento della falda, condannata e ripulirla e a risarcire le persone danneggiate, con una spesa di 672 milioni di dollari, destinata a salire oltre il miliardo». Il secondo caso, accaduto vicino all’aeroporto di Ronneby, in Svezia, con le Pfas prodotte dalle schiume antincendio e 11mila persone esposte, è stato risolto in 12 ore, prendendo l’acqua potabile a 5 chilometri di distanza. Stesso accorgimento adottato in Germania, dove è in corso un’indagine epidemiologica. «Ma la rapidità di intervento del Veneto è per noi un esempio di gestione del rischio virtuoso e che vorremmo esportare in Europa — nota Marco Martuzzi dell’Oms —. Stiamo infatti predisponendo ora le linee guida per affrontare il problema, ci sono poche evidenze scientifiche disponibili». (Il Corriere del Veneto – 23 febbraio 2017)
Il Comunicato della Regione Veneto
PFAS: SIMPOSIO INTERNAZIONALE A VENEZIA. LA COMUNITA’ SCIENTIFICA CONDIVIDE LE STRATEGIE DELLA REGIONE VENETO IN ATTO. RESI NOTI GLI ESITI DEGLI ESAMI SU 50 RAGAZZI RESIDENTI NELLA ZONA ROSSA
22 febbraio 2017. A partire da luglio 2013, a poco più di un mese dalla pubblicazione dello studio del Cnr sull’inquinamento da sostanze perfluoro alchiliche (Pfas) rilevato in una vasta parte del Veneto, gli acquedotti pubblici sono stati messi in sicurezza dagli interventi di filtraggio subito effettuati. E’ l’acqua, molto più degli alimenti, il vettore attraverso il quale le persone hanno assorbito queste sostanze.
Ad oggi, grazie a uno studio specifico condotto dal Registro Tumori del Veneto, è possibile dire che non si sono verificate alterazioni nella percentuale delle neoplasie registrate nell’area maggiormente compita che, anzi, risultano inferiori alle medie regionali.
Alcune evidenze sono emerse nella valutazione complessiva delle gravidanze dal 2003 al 2015, con un aumento delle gestosi, del diabete gravidico e dei bimbi nati più piccoli in proporzione all’età gestionale, dato quest’ultimo scomparso a partire dal 2013, anno nel quale sono stati messi in sicurezza gli acquedotti.
I primi esami del sangue, effettuati in cinquanta ragazzi di 14 anni residenti nella “zona rossa”, hanno evidenziato una presenza anomala di Pfoa (Acido Perfluoro Ottanoico) pari a una media di circa 64 nanogrammi/grammo, contro una media di 2-3 nanogrammi presente nelle persone monitorate al di fuori dell’area dell’inquinamento.
L’approccio scientifico e la collaborazione con l’Istituto Superiore di Sanità scelti dalla Regione Veneto sono assolutamente condivisibili e possono essere presi ad esempio in tutto il mondo dove dovessero verificarsi situazioni d’inquinamento simili”.
Sono questi i principali elementi valutati e condivisi dalla comunità scientifica nazionale e internazionale, riunita oggi all’Ospedale Civile di Venezia su iniziativa della Regione del Veneto, per un confronto sulla situazione determinata dall’inquinamento da Pfas in ventuno Comuni delle province di Vicenza, Verona e Padova (120 mila abitanti coinvolti dei quali circa 80 mila nella zona “rossa” a più alta concentrazione), sulle iniziative di difesa sanitaria adottate e su quelle da realizzare in futuro.
Particolarmente qualificata la platea dei relatori, tra i quali il direttore del Dipartimento Ambiente e Salute dell’Istituto Superiore di Sanità Eugenia Dogliotti; il direttore generale della sanità veneta Domenico Mantoan; la responsabile della direzione prevenzione Francesca Russo; Christof Hamelman dell’Ufficio Europeo per gli investimenti dell’Organizzazione Mondiale della Sanità con Marco Martuzzi del Centro di Salute e Prevenzione dell’OMS con sede a Bonn; Tony Fletcher, attuale responsabile della sanità pubblica britannica, l’uomo che ha studiato in prima persona un evento simile accaduto negli Stati Uniti; Kurt Streif, direttore dell’Agenzia Internazionale per la ricerca sul Cancro (IARC); Massimo Rugge, responsabile del Registro Tumori del Veneto; Karen Mackay, dell’Autorità Europea per la Salute Alimentare.
“E’ un momento per certi versi storico – ha tenuto a sottolineare l’Assessore alla Sanità Luca Coletto, impossibilitato a intervenire per la concomitanza di un’importante seduta della Commissione Salute a Roma – perché siamo gli unici che, seguendo un approccio rigorosamente scientifico e trasparente, manteniamo un confronto costante a livello internazionale, lavorando con l’ISS italiano e l’OMS. Mentre molti cavalcano le paure della gente diffondendo ora inesattezze ora falsità, a solo scopo di propaganda politica, noi abbiamo lavorato sodo e oggi gli acquedotti sono in sicurezza, sono attivi i monitoraggi sulle persone e sugli alimenti, è partito uno screening a tappeto che è l’unica via per ricevere risposte scientificamente fondate e indicazioni terapeutiche per curare chi avesse ricevuto un danno alla salute. Le chiacchiere le lascio volentieri ai cacciatori di consensi, il cui terreno di caccia preferito è purtroppo, da tempo, la sanità”.
In particolare, Mantoan ha riferito in anteprima i risultati delle analisi del sangue effettuate sui primi cinquanta ragazzi quattordicenni residenti nell’”area rossa”. “La presenza di Pfoa riscontrata – ha detto – è in linea con la media riscontrata l’anno scorso quando facemmo un campionamento su 500 persone di ogni età. Gli esami proseguiranno e si allargheranno a tutta la popolazione interessata, ma questo dato sui ragazzini ci fa supporre che l’emivita di queste sostanze possa essere superiore al previsto, considerando che da luglio 2013 questi ragazzi bevono acqua pulita e che evidentemente queste sostanze le hanno assorbite prima. Continuiamo comunque a monitorare, studiare e siamo pronti ovviamente anche a curare in caso di necessità. Sarà comunque un processo lungo e costoso, perché uno screening non è un’attività che oggi la fai e domani ti dà risposte”.
Marco Martuzzi, del Centro Salute e Prevenzione dell’Oms con sede in Germania, ha condiviso “la positività delle strategie d’intervento sinora adottate sul fronte sanitario” “L’Oms – ha detto – partecipa con convinzione al lavoro della Regione e dell’Iss, che è già un prezioso punto di riferimento per la definizione delle linee guida internazionali che stiamo elaborando su questa specifica problematica”.
Tony Fletcher ha illustrato l’esperienza fatta seguendo un caso simile accaduto in Ohio a inizio anni 2000, quando le persone coinvolte furono circa 60 mila ed ha precisato che attualmente, oltre a quello americano e a quello veneto, si è a conoscenza di un solo altro episodio, accaduto in Svezia nelle vicinanze di un aeroporto e causato dallo sversamento delle schiume antincendio. Fletcher ha ripercorso le attività effettuate nel caso americano ed ha giudicato “con molto favore” ciò che si sta facendo in Veneto. Richiesto dai giornalisti, Fletcher ha riferito che, in Ohio, “l’Azienda emersa come responsabile dell’inquinamento ha interamente finanziato la depurazione delle acque e versato un’ammenda di seicento milioni di dollari. Ora – ha detto – sono in piedi circa millecinquecento cause singole di risarcimento danni”.
“Con la Regione del Veneto – ha detto Eugenia Dogliotti dell’Iss – stiamo lavorando in perfetta sintonia, i risultati arrivano e gli esiti saranno preziosi per tutto il Paese. Proseguiremo tutte le attività comuni nell’interesse della sanità pubblica e dei cittadini”.
I lavori del simposio proseguono domani con, tra le altre, la presentazione dello studio su gestanti e neonati e di quello effettuato sui lavoratori dell’Azienda Miteni. Le due relazioni sono previste al termine del programma della mattinata, tra le 12.30 e le 13.30.
23 febbraio 2017