di Michela Nicolussi Moro, Corriere Veneto. L’area contaminata comprende 30 comuni tra le province di Verona, Vicenza e Padova. Le opzioni: ripulire la falda o confinare gli inquinanti.
Dopo lo studio dell’Università di Padova, e voluto dalla Regione, che tra il 1980 e il 2018 nell’area rossa contaminata dai Pfas (30 Comuni tra le province di Verona, Vicenza e Padova) ha rilevato 3.890 decessi più del previsto per cancro e malattie cardiovascolari, com’è ora la situazione? Parlare di bonifica della falda è prematuro, bisogna prima mettere in sicurezza l’ex sito Miteni, l’azienda di Trissino (Vicenza) che ha sversato nell’acqua gli inquinanti ed è fallita il 9 novembre 2018. L’intervento è stato affidato a Mitsubishi Corporation, che ha controllato Miteni fino al 2009; Icig, che l’ha controllata dal 2009 al fallimento; Eni, erede della RiMar del gruppo Marzotto, da cui partì tutto nel 1965 e coinvolta anch’essa. È prevista pure la caratterizzazione dell’area, necessaria a valutare se il terreno sia più o meno inquinato.
La barriera
«Alla fine del 2023 è stata smantellata la parte produttiva della Miteni, quindi è iniziato il lavoro per creare una barriera verso la collina della Colombara — spiega Gianpietro Ramina, assessore all’Ambiente del Comune di Trissino —. Il manufatto, realizzato al 60%, riduce la portata del torrente Poscola all’interno dell’area, ma al momento i campionamenti dell’Arpav rivelano che esce ancora il Plume, cioè l’insieme degli inquinanti. Abbiamo obbligato le quattro aziende a posizionare otto piazzometri anche a Sud-Ovest, a completamento dei 50 già operativi nel resto della zona, perché i Pfas sono emersi anche in quella porzione di terreno, finora carente».
Un secolo almeno per la bonifica
Quindici giorni fa le parti si sono incontrate in prefettura a Vicenza e il Comune di Trissino ha insistito affinché si velocizzino le procedure. Ma quando si arriverà alla bonifica, cioè alla «pulizia» totale della falda? «Dal momento della messa in sicurezza dell’ex sito Miteni ci vorranno dai 100 anni in su — prevede Ramina —. Prova ne sia che a 60 anni di distanza dalla loro scoperta, nel 1963, nelle fontanelle a valle sono state rilevate ancora tracce di Pfoa, le sostanze più antiche e persistenti. Per fortuna uno spesso strato di argilla impedisce loro di penetrare nella falda acquifera». Oggi Regione, Comuni interessati e Arpav saranno al centro dell’ennesima Conferenza dei servizi, per aggiornare ancora una volta il cronoprogramma dei lavori.
Ventimila persone con Pfas nel sangue
Intanto la popolazione resta monitorata dalla Regione, che a dicembre scorso ha rilevato ancora Pfas nel sangue di 19.567 residenti e avverte: «I livelli sono più alti negli adulti rispetto agli under 14». «Dal punto di vista dell’acqua potabile oggi in tutto il Veneto si rilevano i valori di Pfas più bassi d’Italia — dice Loris Tamino, direttore generale dell’Arpav —. Per quanto riguarda la messa in sicurezza dell’ex sito Miteni stiamo andando avanti con la barriera idraulica per il confinamento con le palanche del torrente Poscola, con la caratterizzazione del territorio e con sperimentazioni propedeutiche a impostare la successiva fase della bonifica. E cioè a capire dove rimuovere completamente il contaminante dalla falda e dove invece metterlo in sicurezza in modo permanente, confinandolo in un sarcofago dal quale non uscirà più. Si sceglieranno le tecnologie più adeguate alle due soluzioni».
Il problema dell’acqua per colture e allevamenti
«È vero, almeno il problema dell’acqua potabile è stato risolto, con l’applicazione di filtri agli acquedotti — conferma Michela Piccoli, portavoce del movimento «Mamme no Pfas» —. Ma il costo lo pagano tutti i veneti in bolletta: si tratta di un milione di euro l’anno a partire dal 2018, anno di chiusura della Miteni, e fino alla completa pulizia della falda. Inoltre l’acquedetto preleva acqua pulita da Belfiore. Ma resta il nodo dell’irrigazione dei campi e dell’allevamento, per i quali si continua a utilizzare l’acqua inquinata, tanto è vero che i figli degli agricoltori hanno nel sangue valori di Pfas tre volte superiori agli altri residenti della zona rossa — puntualizza Piccoli —. E infatti stiamo molto attenti a non comprare prodotti provenienti da questo territorio, in particolare carne, uova, frutta, verdura e ortaggi, soprattutto quelli a più alto contenuto d’acqua, come insalata, pomodori, kiwi. È contaminato pure il mais che mangiano gli animali».
Campionamento dei vegetali
Con la delibera del 29 dicembre 2023 la giunta Zaia ha allora deciso di completare la valutazione dell’esposizione alimentare ai Pfas, dopo i prelievi del 2016 e 2017, nelle zone impattate, attraverso un piano di campionamento dei vegetali coltivati e immessi in commercio in Veneto. L’operazione viene svolta in collaborazione con l’Istituto Zooprofilattico delle Venezie, l’Arpav e l’Istituto Superiore di Sanità.