«Siamo sul pezzo sin da quando emerse il problema Pfas. Sin da allora ci preoccupammo prima di tutto di mettere in sicurezza gli acquedotti, operazione portata a termine in pochissimi giorni. Ora si va più a fondo per verificare se e quanto queste sostanze abbiano fatto male all’ambiente e alle persone». A usare toni tanto distesi è il presidente leghista della Regione Veneto, Luca Zaia. Che ieri ha diramato una nota nella quale, oltre ad annunciare una serie di studi ad hoc su 85 mila persone per valutare con più precisione l’evolversi della situazione, cerca di tranquillizzare l’opinione pubblica rispetto ai reali rischi per la popolazione.
Ma le cose stanno davvero così? Perché stando ad un’altra nota lo scenario sembra mutare e non poco: «… Si chiede a tale scopo ai soggetti istituzionalmente competenti la tempestiva adozione di tutti i provvedimenti urgenti a tutela della salute della popolazione volti alla rimozione della fonte di contaminazione ivi comprese le opportune variazioni degli strumenti pianificatori di competenza». A parlare in termini così perentori è il segretario generale della sanità della Regione Veneto, Domenico Mantoan, in una missiva indirizzata a Luca Coletto, Giampaolo Bottacin e Giuseppe Pan, rispettivamente assessori alla sanità, all’ambiente e all’agricoltura.
Si tratta di una comunicazione riservata che Vvox.it ha potuto consultare e che porta il protocollo in uscita della Regione 4500 PP del 17 novembre 2016. Il documento chiede a tutti i soggetti istituzionali, dalla Regione alle Province sino ai consorzi di bonifica per arrivare ai Comuni, di prendere in seria considerazione l’ipotesi di modificare le norme di pianificazione in materia di inquinamento attualmente vigenti. Un’opzione drastica. Non solo perché in laguna gli uffici competenti potrebbero aver descritto una condizione di allerta mai delineata in precedenza. Ma anche perché da settimane si rincorrono voci di più indagini avviate da alcune procure venete, come pure da quella di Roma, per eventuali condotte anomale in ambito ministeriale. A tutt’oggi, c’è il fascicolo aperto dalla magistratura berica a carico dell’ex amministratore delegato dell’azienda trissinese Miteni, Luigi Guarracino.
Tuttavia c’è poi un altro elemento da tenere in considerazione: le dichiarazioni di Nicola Dall’Acqua, neo-direttore generale dell’Arpav, sulle colonne della Difesa del Popolo, il settimanale diocesano di Padova. Dall’Acqua ha addirittura parlato della necessità di «trasferire la Miteni» (nel riquadro lo stabilimento). Il servizio, pubblicato il 3 dicembre, aveva messo in subbuglio il mondo ambientalista veneto, che si è chiesto a questo punto quanto grave sia il pericolo, se l’Arpav pensa che Miteni debba fare le valigie al più presto. Mantoan sembra indirettamente aver dato una risposta. L’’amministratore delegato di Miteni, Antonio Nardone, dal canto suo il 23 dicembre aveva detto che la fabbrica entro il 2020 potrebbe dismettere la produzione di Pfas puntando su molecole meno impattanti.
Ancora, sempre Mantoan nella lettera indirizzata ai tre assessori cita un documento che mai aveva tenuto banco sul dibattito pubblico, ovvero lo «Studio sugli esiti materni e neonatali in relazione alla contaminazione da sostanze perfluoroalchiliche». Uno studio del 29 settembre 2016 con protocollo 398534 del 17 ottobre 2016, dal quale emerge come siano stati evidenziati in particolare l’incremento della pre-eclampsia, una malattia della gravidanza, del diabete gestazionale, di malformazioni maggiori «come anomalie del sistema nervoso, del sistema circolatorio e cromosomiche». Malanni, è specificato, che necessitano di tempi di osservazione più lunghi «per giungere a più sicure affermazioni».
Ma della questione è stato investito anche il presidente della provincia di Vicenza Achille Variati (Pd): la nota di Mantoan è finita anche sulla sua scrivania il 28 novembre 2016 col protocollo 79893. Da quel giorno le incombenze si sono moltiplicate sia a palazzo Nievo che sul sindaco di Trissino. Il testo unico sulle leggi sanitarie in tal senso all’articolo 217 parla chiaro: «Quando… scoli di acque, rifiuti solidi o liquidi provenienti da manifatture o fabbriche, possono riuscire di pericolo o di danno per la salute pubblica, il podestà prescrive le norme da applicare per prevenire o impedire il danno e il pericolo e si assicura della loro esecuzione ed efficienza…». Il termine podestà, figlio di una legge emanata in piena epoca fascista, è desueto e sostituito da “sindaco”, ma la norma è ancora vigente. Tanto che anche Mantoan la cita interamente.
VVox – 27 dicembre 2016