Il Collettore Arica potrà scaricare nel Fratta, a Cologna Veneta, i reflui vicentini dei cinque impianti di depurazione pubblici di Arzignano, Montebello, Montecchio Maggiore, Trissino e Lonigo: con gli stessi limiti per i Pfas, i composti perfluoroalchilici da cui è inquinata la falda vicentino-veronese, che vigevano l’anno scorso, prima del giro di vite imposto dal ministero dell’Ambiente.
Lo ha deciso il Tribunale superiore delle acque di Roma e la Regione Veneto con una delibera si è adeguata: per i magistrati delle acque però è necessario che tutte le fonti che generano scarichi di Pfas seguano un cronoprogramma per la riduzione delle emissioni. «Questa sentenza è un atto importante, per la prima volta viene confermato che le fonti sono molteplici» commentano dalla Miteni.
L’industria chimica di Trissino, attiva dagli anni ‘60, è stata indicata negli anni scorsi da Arpav come la fonte della contaminazione dei composti perfluoroalchilici nella falda più a sud. Per impedire del tutto un protrarsi della contaminazione da Pfas – sulla quale è in corso anche un’indagine della procura vicentina – a luglio dell’anno scorso il ministero aveva imposto al collettore Arica limiti molto severi: da subito, reflui con livelli di Pfas pari a quelli validi per l’acqua potabile pena il mancato rinnovo della concessione a scaricare nel Fratta. Contro l’imposizione il consorzio aveva presentato ricorso al Tribunale superiore delle acque. Secondo il presidente di Arica Antonio Mondardo quei limiti erano impossibili da rispettare: il rischio era di dover chiudere fabbriche e perdere «30mila posti di lavoro». La Regione Veneto ha preso atto delle indicazioni della magistratura e rinnovato la concessione, prevedendo comunque un progressivo azzeramento dei valori di Pfas nei reflui, verificato anche tramite Arpav. Arica dovrà presentare delle relazioni periodiche sui livelli delle sostanze nell’acqua di scarico, progressivamente in discesa. Questo perché, come evidenzia la magistratura delle acque nella sua relazione dell’11 gennaio scorso, «non esistono» allo stato attuale pratiche di eccellenza tali da abbattere subito i livelli di Pfas alla quota desiderata. Con il cronoprogramma si ipotizza di verificare entro marzo, tramite autocertificazioni da parte delle aziende, chi usa o meno Pfas. Entro giugno si dovrà chiedere a chi produce o utilizza composti a catena lunga di passare a quelli a catena corta (meno inquinanti): i magistrati nella relazione segnalano che questo nella concia è già fattibile. Entro l’anno, poi, si vuole arrivare a stabilire la presenza di Pfas nei prodotti realizzati dalle aziende, per giungere a eliminarli dalle attività produttive fra marzo 2018 e marzo 2019. La Regione attuerà una verifica semestrale.
Andrea Alba – Il Corriere del Veneto – 17 marzo 2017