«Martina, 189 nanogrammi per millilitro di sangue di Pfoa. State avvelenando mia figlia». Anna, sua madre, l’ha scritto a caratteri cubitali rossi e neri su una t-shirt. Sono agguerrite le mamme di Lonigo: l’emergenza dei Pfas rilevati nel sangue dei loro figli è ben al di là dall’essere superata, così i genitori della zona hanno lanciato una campagna di sensibilizzazione autofinanziata e originale. «Abbiamo stampato queste magliette e le indossiamo ovunque, nel tempo libero. Al supermercato, in piazza a bere il caffè, girando in bicicletta — spiega Michela Piccoli, una di loro — non ci fermiamo, la gente deve sapere. Domani andremo a incontrare i carabinieri del Noe. Non solo: abbiamo chiesto di parlare direttamente con il presidente della Regione, Luca Zaia».
La cittadina dell’Ovest Vicentino rientra fra i 21 Comuni segnalati nella «zona rossa», l’area in cui la falda è più contaminata dai composti perfluoro-alchilici a cavallo fra Vicenza, Padova e Verona. Da gennaio, su impulso della Regione, l’Usl 8 Berica sta effettuando un maxi-screening, che avrà durata decennale, sui circa 185mila residenti di età compresa tra 14 e 65 anni. I primi analizzati sono stati appunto i minori e nell’area di Lonigo la media delle sostanze chimiche, in particolare del Pfoa (acido perfluoroottanico, uno dei composti considerati pericolosi), nel sangue mostra valori molto più elevati di quello che è il valore medio nella popolazione generale (tre nanogrammi per litro, secondo i dati dell’Usl). L’azienda sanitaria sta predisponendo la seconda fase del monitoraggio, che prevede visite e terapie gratuite per tutti i cittadini in cui, oltre a Pfas elevati, siano state riscontrate altre patologie. Si stima che tale intervento riguarderà almeno 25mila residenti della zona rossa.
«Andremo a parlare con tutti — insiste Piccoli — con i carabinieri del Nucleo ecologico di Treviso, con Zaia, con la Procura di Vicenza. Non ci fermeremo finchè non avremo in mano un pezzo di carta che dimostri che è partito ed è definitivo il progetto per portare nella nostra terra, inquinata, acqua completamente pulita da Pfas. Perché per ora è tutto ancora sulla carta».
Dal 2013 alle aziende idriche è stato imposto (tramite filtri ai carboni attivi) di erogare solo acqua con valori di Pfas sotto la soglia di 500 nanogrammi per litro, stabilita dall’Istituto superiore di Sanità. « Non è sufficiente — insiste Piccoli —. Le autorità sostengono che con i filtri la situazione è stata risolta, ma se fosse così i nostri figli non avrebbero valori 30 volte superiori la media. L’acqua contiene ancora Pfas e se pure la quantità è ridotta, anche quella va eliminata».
Intanto, continuano a spron battuto le indagini sulle cause dell’inquinamento della falda, dopo che i carabinieri del Noe, esaminando documenti aziendali, hanno concluso che da almeno 27 anni l’azienda Miteni è a conoscenza del fatto che alcune sostanze fuoriuscite dal proprio stabilimento di Trissino hanno inquinato l’Ovest Vicentino. E già nel 2008 l’industria (ceduta nel 2009 dalla multinazionale Mitsubishi al colosso della chimica Icig, attuale proprietario) aveva scoperto la presenza di Pfas nella falda, quindi cinque anni prima che lo studio del Cnr lanciasse l’allarme sulla contaminazione tuttora sotto la lente.
Questa, in massima sintesi, la relazione che il Noe ha consegnato al ministero dell’Ambiente, alla Regione del Veneto e alla Provincia di Vicenza, oltre che alla Procura berica, titolare dell’inchiesta per adulterazione dell’acqua e inquinamento ambientale. Sul registro degli indagati figurano nove manager ed ex manager della Miteni.
Andrea Alba – Il Corriere del Veneto – 4 luglio 2017
Foto Rai Veneto