Pfas negli alimenti? Tutto bene. Anche se… Si potrebbe riassumere così l’articolata presentazione che l’Istituto Superiore di Sanità ha illustrato ieri a Palazzo Balbi. Il monitoraggio durato un anno sulla presenza di 12 molecole di «Sostanze perfluoro alchiliche», la grande famiglia dei Pfas, appunto, ha dato esiti confortanti ma con un distinguo inquietante. I picchi, per così dire, sono stati rilevati su animali e prodotti provenienti da animali «casalinghi» dal maiale per la produzione familiare di salumi alle uova deposte nell’aia dietro casa. Colpa, una volta ancora, dell’acqua di falda. Se gli animali per consumo domestico vengono abbeverati dal pozzo che pesca proprio dalla falda contaminata non si scappa, gli animali assorbono i composti chimici che si accumulano soprattutto nel fegato e pure nel «muscolo». Addio, insomma, a risotto con fegatini e durelli ma anche a una fetta di soppressa? L’Iss (Istituto superiore di sanità) dice di no, i valori restano comunque sotto soglia e di un bel po’. Schede e tabelle che hanno fatto tirare un sospiro di sollievo all’assessore alla Sanità Luca Coletto: «Gli esiti sono confortanti ora speriamo che dopo i primi 2 arrivino da Roma anche gli 80 milioni per gli acquedotti». E di soldi ne serviranno ancora tanti. Tanto più che la Regione sta ultimando il progetto per allargare ai ragazzi fino ai 14 anni il biomonitoraggio. Tornando agli alimenti, va bene per i vegetali con qualche criticità per il mais soprattutto nel triangolo maledetto fra Lonigo, Sarego e Brendola in piena Zona Rossa. Vengono assolte mele, pere, uva da vino, patate, radicchio, lattuga e altra verdura dagli spinaci all’indivia, e poi ancora semaforo verde per pomodoro, asparago, cipolla, fagiolini, zucchine e così via. Talmente bene che non sono passati alla fase 2 del monitoraggio vista l’assenza di Pfoa e Pfos, i letali composti chimici a catena lunga. E’ pur vero, però, che fra gli ortaggi si sono riscontrate tracce di composti a catena corta, i più subdoli, forse, quelli che neppure i filtri per l’acqua più avanzati riescono a trattenere. La molecola più ricorrente è il Pfba. Per le catene corte, però, mancano dei parametri scientifici sulla «tollerabilità». E si attende a breve un aggiornamento dei limiti soglia da parte di Efsa, l’agenzia europea per la sicurezza alimentare, si tratta di quel Tdi (tolerable daily intake) la soglia di assunzione giornaliera tollerata che, al momento, per Pfos e Pfoa è, rispettivamente, di 150 nanogrammi per chilogrammo di peso corporeo al giorno; per il PFOA, 1,5 microgrammi (1500 nanogrammi) per chilogrammo di peso corporeo al giorno. E gli alimenti con livelli di Pfos e Pfoa superiori al limite di quantificazioni sono quasi monotoni: fegato di polli, bovini e suini (soprattutto casalinghi si diceva). Tracce più consistenti del necessario anche per le uova e, anche qui, si salvano le uova provenienti da allevamenti mentre vanno male quelle «di casa». Niente di preoccupante , rassicura l’Iss che sottolinea come il fegato suino, uno degli elementi con valori più alti, incrociato con dati di consumo medio, arriva all’1,5% del livello giornaliero tollerato. Bazzecole, comunque, a confronto dell’unico alimento su cui pesa il divieto di pesca: carpa barbo siluro, cavedano e tinca che nuotano in acque superficiali dell’area rossa non vanno consumati visto che hanno una concentrazione media di Pfos che supera i 20 nanogrammi per grammo. Un aspetto preoccupante ma anche positivo sotto il profilo del monitoraggio perché, spiegano i tecnici, servono e serviranno da biosensori in grado, con un po’ di fortuna, di segnalare anche un futuro disinquinamento delle acque superficiali. Numeri complessi che saranno incrociati anche con quelli del biomonitoraggio in corso sugli abitanti dei 21 comuni dell’area Rossa. Ad oggi, però, «non si rileva alcuna criticità sotto il profilo della sicurezza alimentare» spiega la giunta regionale. Un lavoro «imponente» per dirla con Coletto, che ha coinvolto oltre all’Iss anche l’Istituto Zooprofilattico delle Venezie e l’Arpav su un totale di oltre 614 campioni di alimenti. Critiche, invece, da Andrea Zanoni (Pd) della commissione regionale d’inchiesta sui Pfas che lamenta poca trasparenza e chiede i dati disaggregati: «Dopo reiterate richieste da parte della commissione d’inchiesta, i dati del monitoraggio sono stati presentati prima alla stampa». Prudenza dalle Mamme anti Pfas che attendono di valutare numero per numero lo studio. «Ormai calcolo da sola i nanogrammi per grammo di Pfos e Pfoa che stanno nella bistecca con cui nutro i miei figli» dice Michela Piccolo, una delle mamme anti Pfas. Greenpeace Verona, infine, parla di «dati parziali» e suggerisce di tenere alta la guardia sul consumo di alcuni alimenti.
Il Corriere del Veneto – 17 novembre 2017