Ha impiegato più di un mese, ma alla fine la Regione Veneto ha diffuso una nota per rispondere alle accuse contenute in una imbarazzante deposizione davanti alla Corte d’Assise di Vicenza che sta giudicando i manager della Miteni di Trissino, imputati di disastro ambientale per l’inquinamento da Pfas (sostanze perfluoroalchiliche) della falda idrica che scorre nel sottosuolo del Veneto. A giugno, Pietro Comba, già responsabile del Dipartimento di epidemiologia dell’Istituto Superiore di Sanità, aveva detto ai giudici che Iss e Regione Veneto nel 2017 avevano lavorato per più di un anno con lo scopo di far partire uno studio epidemiologico sulla popolazione, anche per capire le correlazioni con i rischi di tumori, poi una decisione “non tecnica”, ma presumibilmente politica, aveva bloccato tutto. Ilfattoquotidiano.it aveva approfondito il tema, pubblicando i verbali dell’interrogatorio.
Alcuni giorni fa il gruppo Mamme No Pfas e Isde (Medici per l’ambiente) ha convocato una conferenza stampa per denunciare il mancato avvio di quell’indagine e annunciato che la sezione Vicenza Isde ha avviato una ricerca in proprio sul nesso tra inquinamento da Pfas e infertilità nei maschi che vivono nella “zona rossa” più inquinata. A questo punto la Regione ha deciso di replicare con una nota in cui la Direzione prevenzione sicurezza alimentare e veterinaria “evidenzia e ribadisce che sono numerose le indagini epidemiologiche promosse in uno sforzo importante e sinergico anche con le massime autorità in ambito sanitario del Paese, oltre che con i rappresentanti della comunità scientifica”.
La smentita che non smentisce – Scrive la Regione: “Il confronto con l’Iss è continuo: sono state avviate tutte le attività di valutazione epidemiologica e di esposizione del rischio ritenute necessarie dalla comunità scientifica. I risultati sono stati divulgati e resi disponibili alla popolazione. L’impegno della Regione è proiettato anche al futuro: saranno portati avanti tutti gli ulteriori approfondimenti epidemiologici che si dovessero ritenere da attuare, su indicazione dell’Iss o del Ministero della Salute”. Attaccando i giornali si aggiunge: “È inoltre palesemente falsa l’affermazione riportata da alcuni quotidiani secondo cui lo ‘screening di massa’ sulla popolazione esposta non sarebbe mai decollato”.
DOMANDA SENZA RISPOSTA – In realtà la deposizione di Comba non si riferiva al Piano di sorveglianza avviato nel 2017 (in totale sono state analizzate 64 mila persone), ma allo “Studio Epidemiologico sulla contaminazione da Pfas nel Veneto”. Come svelato da ilfattoquotidiano.it, era tutto pronto per farlo partire, i tecnici avevano lavorato un anno per predisporre il protocollo su carta intestata della Regione Veneto, l’Istituto superiore di sanità aveva previsto un co-finanziamento di 225 mila euro per un lavoro di tre anni, mentre non era indicata solo la cifra a carico del Veneto. Poi tutto è stato fermato. Perché? Il comunicato della Regione non dà una risposta. Cita gli studi sui lavoratori della Miteni e quelli effettuati sulla popolazione esposta in base al Piano di sorveglianza. Indica il sito dove sono pubblicati e aggiunge l’elenco di una quindicina di pubblicazioni scientifiche reperibili attraverso i motori di ricerca specializzati.
“È TUTTA ARIA FRITTA” – Non si è fatta attendere la replica delle parti civili nel processo di Vicenza. L’avvocato Matteo Ceruti: “La Regione non risponde alla domanda fondamentale posta dal professor Comba: chi e perché ha deciso di omettere di eseguire lo studio epidemiologico di coorte già deliberato dalla Giunta e progettato dall’Iss? Tutto il resto è aria fritta”. Gli studi scientifici citati? “Sono interessanti, ma non costituiscono quello studio epidemiologico di coorte su mortalità e morbilita per patologie correlate ai Pfas che avrebbe dovuto essere condotto come normalmente avviene in tutti i contesti in cui si è verificato un disastro ambientale”. La consigliera regionale Cristina Guarda, di Europa Verde, rincara: “Alla Regione chiedo trasparenza. Perché lo studio non è mai iniziato e da chi è dipesa tale scelta? Perché gli esiti dei test sugli abitanti delle zone rossa e arancione non sono ancora stati resi pubblici? Quei dati non possono diventare un segreto di stato. Basta con la strategia ‘camomilla’ che punta a tranquillizzare e a non condividere le informazioni”.
LA DELIBERA MAI ATTUATA – C’è una deliberazione della giunta regionale del Veneto a cui non è mai stata data attuazione e che venne pubblicata sul Bur numero 52 del 31 maggio 2016. Prevedeva l’affidamento dell’incarico proprio all’Istituto superiore di sanità della “predisposizione di uno studio epidemiologico osservazionale di coorte sulla popolazione esposta alla contaminazione da sostanze perfluoroalchiliche (Pfas) in alcuni comuni del territorio della Regione Veneto”. La giunta presieduta da Luca Zaia aveva approvato la richiesta dell’allora assessore alla sanità Luca Coletto, leghista, che nel 2018-19 divenne sottosegretario alla sanità nel governo Conte 1 ed è ora assessore della Regione Umbria. Coletto spiegava come già nel 2014 l’Iss avesse segnalato “l’utilità di uno studio di biomonitoraggio su marcatori di esposizione interna (Pfas plasmatici) capaci di fornire una misura cumulativa dell’esposizione della popolazione”. Nel 2015 la Regione aveva approvato un primo studio, ma solo in alcuni ambiti territoriali. Alla luce dei risultati resi noti nell’aprile 2016 dall’Iss, aveva detto Coletto, “si ritiene opportuno condurre uno studio epidemiologico per approfondire la conoscenza sullo stato di salute della popolazione esposta alla contaminazione da sostanze perfluoroalchiliche”. Così era stata presa la decisione di affidarlo all’Iss, con la collaborazione del Servizio epidemiologico regionale e il registro dei tumori. Un successivo provvedimento della giunta regionale avrebbe dovuto stabilire “gli eventuali finanziamenti per lo studio epidemiologico”. La delibera, per ragioni misteriose, non ha poi avuto seguito.
Il Fatto quotidiano