Luca Florin. Le acque che escono dai depuratori del Vicentino, e che finiscono nei corsi d’acqua che attraversano il Basso veronese e varie altre aree del Veneto meridionale non possono essere depurate della presenza dei Pfas. Ad affermarlo è stato – parlando in uno degli incontri svoltisi in questi giorni a Marghera (Venezia) nell’ambito di Watec Italy 2016, mostra-convegno dedicata alla tutela e al trattamento delle acque – Antonio Mondardo, il presidente del consorzio Arica di Arzignano, la realtà che gestisce il sistema formato da cinque depuratori del Vicentino, compreso quello di Trissino in cui scarica l’azienda chimica considerata dalla Regione come la principale causa della contaminazione, ed il collettore che ne trasporta a valle i reflui, scaricandoli nel fiume Fratta-Gorzone a Cologna.
Il «tubo» che è diventato recentemente l’oggetto di uno scontro fra Regione e ministero dell’Ambiente, visto I filtri andrebbero applicati direttamente alle aziende che prelevano l’acqua con pozzi che quest’ultimo ha imposto che vengano stabiliti da subito limiti riguardanti i Pfas che esso scarica e che invece la Regione aveva previsto come obiettivo futuro. «Noi stiamo ottemperando a tali prescrizioni ma le stiamo anche impugnando a livello legale, perché non è stato previsto un tempo di adeguamento ai nuovi limiti», ha spiegato Mondardo. Il quale, d’altro canto, afferma che «i filtri a carboni attivi sono una tecnologia valida per quanto riguarda le acque sotterranee (infatti viene usata per rendere potabile quello che viene pescato dalle falde ed immesso negli acquedotti, ndr) ma è impossibile da applicare per trattare quello che esce dai depuratori». «Penso sia necessario intervenire a monte, applicando tali filtri direttamente alle aziende che prelevano acqua con pozzi, pur essendo necessario anche trovare il modo per intervenire sui reflui», aggiunge.
Insomma, è necessario trovare un nuovo modo di agire per quanto riguarda gli scarichi industriali. Intanto, sempre nella convention veneziana, si sono levate anche le grida dei rappresentanti del settore primario. Manuel Benincà, Coldiretti Veneto, ha ricordato che «le associazioni agricole, nello scorso agosto, hanno scritto una lettera agli assessori regionali competenti per capire se ci sono stati degli sviluppi rispetto ai rischi paventati a causa dell’inquinamento da Pfas, in particolare sull’abbeverata animale».
«Ad oggi», ha affermato, «non abbiamo ricevuto una risposta, non conosciamo i parametri per potere intervenire e non sappiamo quale incidenze ci possano essere su animali e persone, dal momento che gli studi sono ancora in corso». Una situazione, quella della mancanza di risposte, che è stata confermata anche dal direttore generale dell’unione dei consorzi di bonifica Anbi Veneto, Andrea Crestani. Il quale, pur esprimendo tesi tranquillizzanti per quanto riguarda la situazione delle acque superficiali, spiega che coloro che si occupano di acque irrigue «stanno attendendo indicazioni da Venezia».
L’Arena – 25 settembre 2016