Una relazione del 21 ottobre scorso della commissione tecnica Pfas della Regione Veneto è alla base di due nuovi esposti alle procure di Verona e Vicenza da parte delle associazioni che si battono contro le conseguenze dell’inquinamento da sostanze perfluoro-alchiliche in 21 comuni delle province di Vicenza, Padova e Verona. Secondo i vertici della Regione, quel documento non contiene informazioni nuove rispetto a quanto già divulgato in passato. In particolare, che l’esposizione ai Pfas, pur non avendo comportato un aumento di tumori nelle aree contaminate, potrebbe essere responsabile dell’incremento di altre patologie, anche gravi, legate all’alterazione del metabolismo. Fa tuttavia un certo effetto leggere le conclusioni di uno studio del Registro Nascita, Coordinamento malattie rare Regione del Veneto del 29 settembre 2016 sugli «esiti materni e neonatali in relazione alla contaminazione da Pfas», citate nella relazione. Il testo della relazione
«Emerge – è scritto – come siano stati evidenziati in particolare l’incremento della pre-eclampsia, del diabete gestazionale, dei nati con peso molto basso alla nascita, dei nati piccoli per età gestazionale e di alcune malformazioni maggiori, tra cui anomalie del sistema nervoso, del sistema circolatorio e cromosomiche». Conclusioni solo in parte mitigate dall’osservazione che «le malformazioni sono eventi rari che necessitano di un arco temporale di valutazione più esteso per giungere a più sicure affermazioni».
Viene poi citata l’analisi del Servizio Epidemiologico Regionale del 23 giugno 2016 che ha riscontrato, nei 21 comuni interessati, un «moderato ma significativo eccesso di mortalità» per una serie di patologie «possibilmente associate a Pfas», e in particolare cardiopatie ischemiche (+21% negli uomini, +11% nelle donne), malattie cerebrovascolari (+19% negli uomini), diabete mellito (+25% nelle donne) e Alzheimer/demenza (+14% nelle donne). Viene anche rilevato anche un «eccesso statisticamente significativo» di casi di ipotiroidismo anche se «gli studi sin qui condotti non evidenziano una maggiore incidenza di tumori».
Nel firmare la relazione, il direttore generale dell’Area Sanità e Sociale della Regione Domenico Mantoan, chiede «ai soggetti istituzionalmente competenti la tempestiva adozione di tutti i provvedimenti urgenti a tutela della salute della popolazione volti alla rimozione della fonte della contaminazione», in particolare con l’ipotesi di spostamento della Miteni di Trissino, la ditta responsabile degli sversamenti di Pfas.
L’assessore regionale alla Sanità Luca Coletto spiega di non aver letto la relazione in questione, che pure è sul suo tavolo. «Ma noi – spiega – fin da subito ci siamo attivati con grandissima determinazione per far fronte alla questione Pfas, nonostante il governo centrale non abbia ancora fissato dei parametri». Il primo atto, ricorda Coletto, «è stato mettere in sicurezza l’acqua ad uso alimentare, senza pensarci un attimo, con filtri al carbonio molto costosi pagati a nostre spese. Poi ci siamo mossi a 360 gradi, senza mai fermarci: stiamo monitorando dal punto di vista biologico le popolazioni interessate, gli alimenti, gli allevamenti zootecnici, i pozzi». L’assessore tiene poi a sottolineare un fatto: «Siamo l’unica realtà che si è attivata su questo problema, quando sull’asta del fiume Po si può verificare una presenza significativa di Pfas».
Secondo l’associazione «Terra dei Pfas», che ieri ha presentato un esposto alla procura di Vicenza che si aggiunge a quello di Legambiente a Verona, non risulta invece che sia stata presa «alcuna iniziativa» in seguito alla relazione firmata da Mantoan. Per questo, oltre al «sequestro penale preventivo» dei siti produttivi Miteni a Trissino, si chiede di indagare Coletto, i colleghi assessori Giampaolo Bottacin all’Ambiente e Giuseppe Pan all’Agricoltura, il presidente della Provincia di Vicenza Achille Variati e la Segretaria Generale della Programmazione Generale Ilaria Bramezza per omissione d’atti d’ufficio. I dati della relazione «non erano noti e, in ogni caso, non sono mai stati ufficialmente comunicati a noi consiglieri», sottolinea una nota del Partito democratico in Regione, guidato da Stefano Fracasso, che chiede vengano convocate «quanto prima» la Seconda e Quinta commissione «in modo che venga fatta assoluta chiarezza».
L’esperta. Russo: «Ora l’acqua del rubinetto è sicura, ma le indagini continuano».
Al via il maxi-screening su 85.000 vicentini, veronesi e padovani
Francesca Russo, dirigente del Settore promozione e sviluppo igiene e sanità pubblica della Regione, è componente della commissione tecnica regionale Pfas.
Nell’area a più alta esposizione ci si ammala di più?
«Fin dall’inizio abbiamo detto che queste sostanze potevano alterare il metabolismo glicidico e lipidico, anche delle donne in gravidanza, così come emerso dagli studi condotti in Ohio, tanto che l’Istituto superiore di sanità aveva elencato le patologie “possibilmente associate a Pfas”. Così abbiamo chiesto al Servizio epidemiologico regionale e al Centro malattie rare di verificare nella “zona rossa”, attraverso le schede di dimissione ospedaliera e i certificati post parto, eventuali anomalie da un lato negli adulti, dall’altro nelle gravide e nei neonati».
Il risultato?
«Nelle donne in gravidanza è stato riscontrato un aumento dell’incidenza del diabete gestazionale: su 15.300 parti, parliamo di un tasso del 5,3% in quei 21 Comuni, contro il 3,13% nel resto del Veneto. Per i bambini è stata notata una maggiore prevalenza dei casi di bassissimo peso alla nascita, mentre per le malformazioni i numeri sono così piccoli che vanno approfonditi con la massima cautela. Ora bisogna capire quale sia la causa, visto che non c’è solo Pfas, ma pure altri quattro possibili fattori di rischio come fumo, alcol, sedentarietà e sovrappeso».
In attesa di sviluppi, chi abita in quella fascia può bere l’acqua del rubinetto e mangiare i prodotti locali?
«Con il posizionamento dei filtri a partire dal 2013, possiamo dire che ora l’acqua di rubinetto è sicura. Non a caso ci aspettiamo di trovare risultati inferiori nelle nuove gravide, per le quali stiamo studiando un protocollo di studio dedicato, dal momento che sono state meno esposte a queste sostanze rispetto a chi è diventata mamma in passato, quando non erano ancora state prese le misure di mitigazione. Per quanto riguarda i cibi ottenuti da ortaggi coltivati o animali allevati sul territorio, la migliore rassicurazione che possiamo dare è quella di aver abbattuto la concentrazione di Pfas nell’acqua potabile. Ad ogni modo siamo i primi a tenere alla salute dei cittadini, per cui abbiamo comunque coinvolto degli esperti di calibro internazionale, per approfondire ulteriormente le indagini, anche nell’ambito del Piano di campionamento per il monitoraggio degli alimenti, che si affianca al Piano di sorveglianza sulla popolazione».
Per l’appunto, come procede il maxi-screening su 85.000 residenti nella fascia ad alto impatto?
«Abbiamo cominciato dai ragazzi nati nel 2002. Le lettere sono già partite, per cui contiamo di iniziare gli accertamenti nell’ultima settimana di gennaio. I soggetti che evidenzieranno concentrazioni di Pfas superiori all’intervallo di normalità, o alterazioni dei parametri causate da quello o altri fattori di rischio, verranno presi in carico e inseriti in un percorso assistenziale».
Il Corriere del Veneto – 11 gennaio 2017