Secondo l’Istituto superiore di Sanità la fonte principale della presenza di Pfas nel sangue dei residenti nella zona esposta alla contaminazione è l’acqua potabile. Quella che viene pescata nel Vicentino dalla falda inquinata e che da lì è poi distribuita nel Basso veronese e padovano. Acqua che dal 2014 viene trattata con filtri a carboni attivi che hanno abbassato significativamente il livello delle sostanze perfluoro-alchiliche, che infatti rispetta i limiti vigenti. Continua però a rimanere sul tappeto la questione dell’acqua prelevata con pozzi privati e usata per dare da bere agli animali negli allevamenti, o utilizzata dalle aziende di produzione e lavorazione di alimenti. La Giunta regionale ha ora sancito che essa deve rispettare gli stessi limiti vigenti per la potabile, mentre controlli dei pozzi dicono che nel Veronese i Pfas sono presenti nelle falde più alte e quasi assenti in quelle più profonde. Intanto, per gli alimenti, continuano i controlli volti a verificare l’eventuale presenza al loro interno delle sostanze perfluoro-alchiliche. «Il piano di monitoraggio riguardante sia gli animali che i loro prodotti, che prevedeva 174 controlli, per quanto riguarda il Veronese è concluso», spiega Fabrizio Cestaro, del Servizio veterinario. Mentre Linda Chioffi, che coordina il Servizio igiene e alimenti, racconta che «per quanto riguarda le matrici alimentari vegetali la raccolta è ancora in corso, perché deve essere seguito ¡I ciclo naturale di crescita e maturazione. Si tratta», continua, «di un lavoro particolarmente complesso, che prevedeva 421 controlli e si concluderà solo con la fine dell’estate». Sia lei che i suoi colleghi spiegano di non aver ancora in mano nessuno studio organico, anche sinora non siano emersi dati «particolarmente preoccupanti».
L’Arena – 2 luglio 2017