Gentile direttore,
la peste suina e le ordinanze per l’abbattimento dei suini: serve una strategia per la comunicazione ed un diverso approccio culturale
La peste suina africana è una malattia infettiva di natura virale molto temibile per la quale non sono disponibili al momento terapie specifiche o vaccini. È caratterizzata da una alta morbilità, ovvero possibilità che un animale di una popolazione (ad esempio quella di un allevamento) si ammali e contagi altri animali ma soprattutto da una elevatissima mortalità, ovvero, muoiono la gran parte dei suini della popolazione/allevamento colpito, in tempo variabile in funzione di diversi fattori, ma mediamente nell’arco di pochi giorni.
Quando la malattia entra in un allevamento suino, quindi, tutti gli animali sono destinati ad ammalarsi e la gran parte a morire. Il virus colpisce suini e cinghiali ed è molto resistente nell’ambiente. L’uomo può diventare un veicolo di trasmissione e diffondere l’infezione nel territorio se non vengono rispettare rigorose norme di biosicurezza (come il cambio di abbigliamento e calzature in entrata-uscita da allevamenti e zone a rischio).
La sintomatologia è varia, dalla febbre, inappetenza, debolezza del treno posteriore – quindi rallentamento motorio – ed emorragie. Il virus trova un terreno più che fertile negli allevamenti, dove il contatto tra animali allevati è inevitabile, tanto quanto quello tra loro e potenziali animali vettori, come uccelli e roditori selvatici di passaggio.
Facile fin qui la teoria, l’asettica descrizione dei fatti, altra questione è la traduzione in pratica delle misure di contenimento disposte dalle ordinanze emanate in materia che prevedono l’abbattimento di tutti i maiali infetti e di quelli potenzialmente tali: un’operazione massiccia che porta con sé conseguenze di natura economica di grande rilevanza.
Una circostanza non può essere negata: le attività di eradicazione della peste suina africana sono essenziali per contrastare la circolazione virale e salvaguardare tutti i suini, sia allevati per fini alimentari sia detenuti a scopo di affezione.
Le norme europee, al fine di eradicare e controllare la diffusione della malattia, prevedono l’abbattimento dei suini domestici in cui è stato riscontrato il focolaio e il blocco delle movimentazioni e commercializzazione al di fuori dell’area infetta, compresa l’esportazione, dei prodotti a base di carne suina provenienti dalle aree focolaio. Tutto questo per prevenire una ulteriore diffusione del virus ad altri suini e in questo modo proteggerli dagli effetti devastanti della malattia.
Ma se gli abbattimenti di alcuni animali sono necessari per proteggerne altri, per evitare sofferenze e stress che contraddirebbero ogni garanzia di benessere animale, i medici veterinari non possono essere lasciati soli a combattere una guerra che rischia conseguenze devastanti. I servizi veterinari non possono essere criminalizzati perché applicano le norme di biosicurezza previste nel Piano nazionale, perché attuano le operazioni di sorveglianza passiva nel settore domestico e nel selvatico, perché devono provvedere all’eutanasia dei capi negli allevamenti colpiti.
La preoccupazione per il clima che si sta registrando intorno a queste operazioni di sanità pubblica è tangibile e non appare corretto approcciarla solo come un problema di natura sanitaria: la posta in gioco è alta, a rischio c’è una filiera da oltre 10 miliardi di euro, 40mila posti di lavoro e 2 miliardi di export.
L’ampiezza degli abbattimenti non deve solo richiamare l’attenzione delle associazioni animaliste: serve il concreto interessamento dei Ministeri coinvolti, magari anche l’istituzione di un gruppo di esperti per coordinare le risorse e le forze in campo, esercito incluso. Serve sviluppare sinergie comuni di gestione dell’attività zootecnica praticandola secondo regole di sviluppo sostenibile in unione con tutte le altre componenti sociali coinvolte.
I medici veterinari continueranno a fare il loro dovere ma non sono disposti a diventare il capro espiatorio di un processo culturale che forse non è mai iniziato e per il quale occorrerebbe una strategia comunicativa ad hoc.
FNOVI come accaduto in passato si farà carico di sensibilizzare le istituzioni competenti affinché vigilino anche sulla sicurezza dei professionisti coinvolti.
Dr.ssa Daniela Mulas
Vicepresidente della Federazione nazionale degli Ordini dei medici Veterinari Italiani
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