da Quotidiano sanità. Innalzamento del livello di biosicurezza negli allevamenti anche con l’istallazione di bio-barriere a difesa dei comparti suinicoli. Entrata in scena dei Bioregolatori, figure professionali incaricate delle operazioni di depopolamento. Lotta al fenomeno del commercio abusivo delle carni suinicole. Sono solo alcune delle misure messe in campo per dare scacco alla Psa. Ma anche i cittadini dovranno fare la loro parte.
È andato dritto a meta il Commissario Straordinario Vincenzo Caputo. Il Piano straordinario per dare scacco alla Peste suina africana, approvato dalla Conferenza Stato Regioni nella seduta del 6 settembre, rafforza le strategie già messe in atto da quando ha preso il comando dell’operazione, ma con tante novità per stringere le maglie sui cinghiali portatori del temibile virus. Un virus che se dovesse espandersi genererebbe un danno per mancato export tra i 15 e i 20 milioni al mese.
Come aveva già anticipato a Quotidiano Sanità, gli atout vincenti sono lavoro squadra con azioni serrate nei territori, piena implementazione dei Piani regionali di interventi urgenti, investimenti in biosicurezza e tolleranza zero sulla presenza dei cinghiali nei centri urbani. Non solo, entrano in campo figure professionali incaricate delle operazioni di depopolamento, i bioregolatori e si intensifica la lotta al fenomeno del commercio abusivo delle carni suinicole. Ma si punta anche modelli alternativi all’abbattimento come l’utilizzo di farmaci anticoncezionali, somministrati attraverso esche, che potrebbe ridurre drasticamente la nascita degli animali e sui quali la comunità scientifica sta lavorando. I tempi per il loro utilizzo però non saranno brevi. Anche i cittadini che frequentano le zone a rischio dovranno fare la loro parte, ad esempio disinfettando le scarpe o le ruote delle biciclette con il disinfettante giusto dopo una passeggiata nei boschi
Commissario Caputo, dalla Conferenza Stato Regioni è arrivato il via libera al piano straordinario quinquennale di contrasto alla Psa. Ci aveva già anticipato nei mesi scorsi l’intenzione di portare a meta molte azioni che ora sono contenute nel Piano, ma nel provvedimento oltre a quanto auspicato ci sono anche delle novità. Quali sono?
Il primo passo è stato quello di dare alle Regioni degli obiettivi che fossero realmente “raggiungibili”. Per questo abbiamo fissato obiettivi numerici “minimi” di depopolamento degli animali, e sottolineo con forza “minimi” in quanto sono stati individuati proprio per far sì che fossero realmente raggiungibili. Sono quindi misurabili, individuati con calcoli matematici realizzati sulle attività triennali di prelievo di ogni Regione e anche sulla differente esposizione al rischio di essere invasi dalla Peste suina africana. Variano perciò da Regione a Regione. Faccio un esempio, la Valle d’Aosta e il Trentino sono apparentemente zone non “attenzionate”, ma abbiamo comunque definito obiettivi molto pressanti per evitare che la presenza di cinghiali possa assumere connotati di identità numerica superiore a quelli indicati dall’Ispra che individua la densità numerica accettabile.
In Italia qual è l’obiettivo da raggiungere per il depopolamento dei cinghiali?
Per l’anno in corso, bisognerà effettuare complessivamente 650mila prelievi. Considerando che il Piano è quinquennale, come ho già accennato, i prelievi potranno essere rimodellati. Questo significa quindi che Regioni e le Province Autonome, come indicato nel Piano straordinario, devono essere pronte ad adeguare o correggere i propri piani regionali, i cosiddetti Priu, programmare l’attività di cattura, caccia e di controllo oltre ad istituire i Gruppi operativi territoriali (Got) per ridurre rapidamente le presenze di cinghiali.
Altri elementi di novità?
Abbiamo puntato molto anche sull’innalzamento del livello di biosicurezza negli allevamenti anche attraverso l’istallazione di bio-barriere a difesa dei comparti suinicoli. Ma la novità è la creazione di figure professionali ad hoc, i Bioregolatori incaricati delle operazioni di depopolamento degli ungulati. Sono dotati di porto d’armi e con una formazione specifica in Psa. Sono degli incaricati di pubblico servizio anche se non hanno un rapporto di dipendenza con il Ssn potranno essere utilizzati per il depopolamento anche attraverso i sistemi di cattura. Per questo abbiamo istituito un elenco nazionale di bioregolatori da cui l’autorità competente locale può attingere per le azioni di contenimento della popolazione di cinghiali. Inoltre, Governo e i Ministri competenti stanno ragionando sulla possibilità di coinvolgere anche uomini delle Forze dell’ordine e delle forze armate per dare una mano.
Rimane il fatto che le Regioni, in particolare quelle in “emergenza”, in primis Piemonte, Lombardia ed Emilia Romagna, hanno espresso la forte preoccupazione per il proliferare delle virus che mette a rischio gli allevamenti italiani
Non si può abbassare la guardia. La Psa è una malattia non trasmissibile all’uomo, ma a differenza delle altre malattie del mondo animale è più complicata. Diversamente dall’influenza aviaria, ha una bassa morbilità, ossia una lenta diffusione, ma ha un’alta mortalità e rimane a lungo infettante nell’ambiente e nei tessuti organici. Il virus resiste a lungo negli animali deceduti che restano abbandonati sul terreno per questo è importante rimuoverne i resti e diminuire il rischio di diffusione dell’infezione.
Per tutti questi motivi ci siamo dati dei tempi medio lunghi per intervenire. Il problema della Psa è il suo impatto economico e sociale sulla filiera: secondo le previsioni di Coldiretti, nel caso in cui il virus dovesse espandersi si genererebbe un danno per mancato export tra i 15 e i 20 milioni al mese. Ecco perché l’investimento preventivo per la lotta alla Psa porterà benefici a quelle che potrebbero essere i danni diretti della filiera. Aggiungo che stiamo anche prevedendo un piano di implementazione della nascita della filiera delle carni di cinghiale utilizzando questi animali a scopo benefico. Chiaramente tutto questo avrà bisogno di tempo per far crescere adeguatamente il settore.
Comunque, con le Regioni più “esposte” stiamo lavorando da tempo e bene. Tanto è stato fatto ma che c’è ancora tanto da fare.
E con la presenza dei cinghiali nei centri urbani come la mettiamo?
Lo abbiamo messo nero su bianco: l’obiettivo del Piano è diradare in maniera generalizzata la presenza dei cinghiali, ma nelle aree non vocate, quindi nei centri abitati tutti, e nei comparti suinicoli per un raggio di 15 km, i cinghiali non devono esserci. Vanno eliminati.
Insomma, come aveva auspicato, tolleranza zero cinghiali in queste aree…
Certamente e non solo. Un altro elemento di novità del Piano e dell’Ordinanza commissariale appena pubblicata in Gu è la lotta al fenomeno del commercio abusivo delle carni suinicole. In Italia vengono introdotte illegalmente, anche da Paesi comunitari, o prelevate e commercializzate abusivamente piccole partite di carni di suini o di suini selvaggi, ossia cinghiali. Un fenomeno che può aumentare fortemente il rischio di Psa, per questo va combattuto con determinazione.
Quanto ai metodi utilizzati per abbattere i cinghiali? Un terreno sicuramente scivoloso…
Su questo fronte abbiamo previsto lo sviluppo e l’implementazione di modelli alternativi ai metodi tradizionali di cattura e battimento. Metodi più “ecologici”, ma abbiamo bisogno di tempo per metterli a punto.
Cosa intende per modelli alternativi all’abbattimento?
Penso ad esempio all’utilizzo di farmaci anticoncezionali, somministrati attraverso esche, che potrebbe ridurre drasticamente la nascita degli animali. Meno cruento e meno costoso della cattura degli animali. Su questo metodo sono in corso studi che la comunità scientifica sta vagliando con attenzione. Non dimentichiamo che il successo ottenuto per contrastare la rabbia lo abbiamo avuto attraverso la vaccinazione orale delle volpi: grazie alle esche che hanno mangiato si sono immunizzate. Ma la scienza ha i suoi tempi e bisogna dirlo con onestà: dobbiamo aspettare per applicare questa alternativa.
I cittadini posso fare qualcosa per evitare la diffusione del virus?
Sicuramente, abbiamo lavorato intensamente per creare nel territorio una cultura del rispetto. Per andare incontro alle esigenze dei cittadini abbiamo previsto delle deroghe ai divieti di frequentazione nelle zone a rischio, indicando però regole a cui attenersi sul solco dell’esperienza maturata durante la pandemia da Covid: ad esempio disinfettare le scarpe o le ruote delle biciclette con il disinfettante giusto dopo una passeggiata nei boschi; fare trekking nei sentieri inclusi nella rete escursionistica regionale o, comunque, su quelli segnalati, senza mai abbandonarli. Chi cerca funghi o tartufi nelle aree soggette a restrizione si deve attenere alle norme di biosicurezza ed essere soggetto ad autorizzazione rilasciata dal sindaco su parere dell’Autorità Veterinaria Locale e visionata dalla Struttura Commissariale.
Resta fondamentale la segnalazione di eventuali cinghiali morti per la diagnosi precoce della malattia.
Quanto è importante il ruolo dei veterinari in questa partita?
È centrale. Tant’è che nei Gruppi Operativi Territoriali (Ordinanza n.5/2023 del Commissario Straordinario alla PSA) è prevista sempre la presenza del medico veterinario. Voglio ricordare che la Psa è una malattia infettiva e i servizi veterinari delle Asl sono le autorità competenti a gestirla in linea con quanto stabilito dal regolamento Ue 429/216 relativo alle malattie animali trasmissibili. Sono servizi estremamente adeguati nel gestire le filiere zootecniche ma non ancora adeguatamente strutturati per le malattie infettive nell’ambiente.
Tirando le somme, lei è ottimista?
Conoscendo profondamente il virus sono convinto che lavorando tutti insieme, istituzioni, allevatori, agricoltori, cittadini e impegnando risorse giuste, porteremo il Paese fuori dalla peste suina africana.
Ester Maragò
09 settembre 2023