Nominato da pochi giorni al vertice della struttura commissariale dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, Caputo gioca d’attacco, non vede di buon occhio come unica strategia quella del solo posizionamento di reti di contenimento e punta a nuove strategie e azioni coordinate per arginare l’avanzata del virus. L’obiettivo è mettere sotto controllo la Psa entro tre anni
Lavoro di squadra con azioni serrate, controlli a tappeto e verifiche costanti. Piena implementazione dei Piani regionali di interventi urgenti. E poi investimenti nella biosicurezza per difendere le aziende che allevano suini domestici dalle minacce esterne e impegno nella diagnosi precoce. Ancora, attività di informazione e formazione per allevatori, cacciatori, veterinari e operatori zootecnici o faunistici per aumentare la consapevolezza sul tema della biosicurezza e favorire un approccio adeguato alle diverse attività che possano concretizzare rischi di introduzione o diffusione del virus. Soprattutto tolleranza zero sulla presenza dei cinghiali nei centri urbani.
Ha già le ideee chiare e gioca d’attacco Vincenzo Caputo, Direttore generale dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Umbria e delle Marche e neo commissario straordinario per la gestione dell’emergenza Peste suina Africana, nominato la settimana scorsa con un Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri. Un compito non facile, dovrà coordinare le azioni per dare scacco alla Peste suina africana (Psa), malattia virale infettiva che colpisce suini domestici e selvatici. Endemica in Sardegna, sta colpendo in particolare Piemonte e la Liguria mettendo a rischio anche le Regioni limitrofe Lombardia ed Emilia-Romagna. Un virus che corre veloce e non ha lasciato indenne neanche il Lazio. Soprattutto, una malattia che potrebbe impattare pesantemente sull’economia del nostro Paese: le associazioni di settore stimano perdite per l’export di circa 20 milioni di euro al mese. E se il quadro dovesse peggiorare la perdita economica nel nostro Paese schizzerebbe a 60 milioni.
Ma il neo commissario straordinario è ottimista. Nel prossimo triennio, ha spiegato in questa intervista a Quotidiano Sanità, potremmo cominciare a parlare di messa sotto controllo del virus. Ovviamente è un auspicio estremamente ottimistico, ha sottolineato “ma non si può iniziare un’avventura se non si è ottimisti”.
Dottor Caputo, l’Italia ha già attivato molte contromisure per rallentare la diffusione dell’onda epidemica del virus. Il suo mandato è agli inizi, ma immagino abbia già le idee chiare sulle azioni immediate che intende mettere in atto…
La grande emergenza è sicuramente tutelare gli allevamenti di suini, ma la criticità più eclatante è anche la massiccia presenza di cinghiali nelle campagne e nelle periferie urbane. Quali misure pensa di attuare?
Dobbiamo muoverci su due fronti. Da un punto di vista organizzativo per proteggere la popolazione suina d’allevamento è indispensabile la piena implementazione dei Priu, i Piani regionali di interventi urgenti. È mia intenzione, inoltre, proporre al Governo di adottare ulteriori misure che potranno vedere la struttura commissariale sempre più impegnata con indicazioni di coordinamento e di applicazione dei piani di depopolamento dei cinghiali. L’obiettivo è ricondurre questa specie ai parametri previsti dall’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, relativamente alla densità di popolazione accettabile ai fini della tutela ambientale e al numero di animali previsti per questa specie selvatica. Non vedo di buon occhio come unica strategia quella del solo posizionamento di reti di contenimento. Dobbiamo mettere in moto una serie di azioni coordinate per fare in modo che nelle aree rosse ci sia un’azione centripeta, dall’esterno verso l’interno, per evitare che la malattia in via centrifuga si allarghi sempre di più nell’area dove sono state rinvenute carcasse di animali positivi alla Psa. Per i centri abitati il discorso è diverso, non si devono trascurare i rifiuti alimentari come potenziale sorgente di infezione: la presenza di cinghiali nelle periferie urbane o comunque i contatti di questi animali con i rifiuti non rimossi rappresenta un elevato fattore di rischio.
Come procederà nei centri urbani?
Sono fortemente intenzionato ad eliminare totalmente la presenza di cinghiali in queste aree, perché rappresentano sia una fonte di rischio troppo alta per i cittadini, trovarsi difronte un cinghiale può non essere un’esperienza piacevole, sia per l’espansione del virus nella popolazione suina, che rappresenta il nostro principale interesse.
Ricordo, peraltro, che lo spopolamento della popolazione dei suini selvaggi è un obiettivo già espressamente indicato dalla Commissione europea.
Insomma, tolleranza zero nei centri abitati
Lo ribadisco è fortemente auspicabile. Per questo metteremo in atto metodi di cattura integrata con mezzi incruenti e procederemo alla collocazione degli ungulati in hub regionali appositamente attrezzati laddove non siano già stati previsti e realizzati dalle organizzazioni regionali. Sono state già intraprese delle azioni sia nell’area focolaio di Roma sia in quella della Liguria.
L’uomo è certamente il maggiore indiziato nella diffusione del virus non solo attraverso pratiche di biosicurezza non adeguate e l’abbandono di rifiuti, ma anche attraverso azioni inconsapevoli come passeggiate nei boschi o attività venatorie, le scarpe possono infatti trasportare l’infezione. Per far comprendere la pericolosità del fenomeno la comunicazione può essere uno strumento importante di prevenzione?
Sicuramente. In generale ritengo sia opportuno avviare approfondite attività di informazione e formazione per allevatori, cacciatori, veterinari e operatori zootecnici o faunistici in modo da aumentare la consapevolezza riguardo al tema della biosicurezza e favorire un approccio adeguato alle diverse attività che possano concretizzare rischi di introduzione o diffusione del virus. Toccare la sensibilità dei cittadini non sarà così facile, in quanto hanno la consapevolezza che la Psa è una malattia non trasmissibile all’uomo. Il messaggio chiaro e forte da trasmettere è che questo virus ci può mettere in ginocchio da un punto di vista produttivo. Ricordo che ci sono Paesi, come Giappone e Cina che hanno già bloccato prodotti di salumeria dall’Italia, con gravi danni economici. Abbiamo quindi il dovere di proteggere la filiera delle produzioni sia del suino che dei prodotti derivati. Chiaramente, nei distretti italiani altamente specializzati, questo messaggio passerà più facilmente rispetto alle aree dove c’è una minore presenza di allevamenti di suini. Comunque, chiederemo alle comunità locali un impegno su questo fronte anche a beneficio complessivo di tutto il Paese.
Per il futuro possiamo sperare in un vaccino?
Il virus della Psa non induce la produzione di anticorpi neutralizzanti e questo ha impedito alla comunità scientifica di sviluppare un vaccino efficace. In realtà sono attualmente disponibili alcuni candidati vaccini, che i laboratori d’avanguardia stanno testando per cercare di ottimizzare l’efficacia nella protezione con la necessaria sicurezza d’impiego. Anche l’Italia con il Centro di referenza nazionale Cerep è in prima linea in questa battaglia, che rappresenta una vera e propria corsa contro il tempo. Per il momento quindi l’infezione si può combattere solo con misure preventive (biosicurezza, gestione delle popolazioni suscettibili di suini domestici e selvatici) o misure di emergenza (contenimento/isolamento delle popolazioni colpite e depopolamento).
È possibile prevedere quanto tempo ci vorrà per una messa in sicurezza del Paese?
Con azioni serrate, controlli a tappeto e verifiche costanti, nel prossimo triennio potremmo cominciare a parlare di messa sotto controllo. Ovviamente è un auspicio estremamente ottimista, ma non si può iniziare un’avventura se non si è ottimisti. Sicuramente dovranno essere impegnate ulteriori risorse umane e strumentali che avranno anche dei costi.
Ester Maragò – Quotidiano sanita
07 marzo 2023