MA COS’E’ LA PESTE SUINA AFRICANA?
La Peste Suina Africana, altrimenti denominata semplicemente con l’acronimo PSA, è una malattia infettiva, contagiosa, ad eziologia virale. Il virus, appartenente alla famiglia Asfarviridae di cui il genere Asfivirus è l’unico membro, viene considerato un arbovirus (con genoma a DNA), cioè un virus trasmesso da vettori biologici nella fattispecie da zecche molli del genere Ornithodorus. Da un punto di vista clinico la PSA si presenta come una sindrome emorragica, grave, generalmente ad esito infausto, per la presenza di emorragie che si manifestano a livello cutaneo soprattutto ai fianchi ed orecchie e a livello di organi e tessuti interni sotto forma di versamenti e di petecchie emorragiche.
CHI SI AMMALA DI PSA?
La PSA è una malattia che colpisce peculiarmente gli animali appartenenti alla famiglia dei suidi sia domestici (maiale domestico) sia selvatici (cinghiale). In questi animali il quadro clinico si presenta particolarmente grave e ad esito infausto soprattutto quando l’infezione si manifesta per la prima volta in zone indenni mentre in territori dove la malattia è presente da diverso tempo può assumere un andamento con manifestazioni cliniche di tipo sub-acuto e/o cronico. Nelle zone tropicali il virus della PSA è stato isolato da diverse specie di suidi selvatici quali il Phacochoerus, Potamochoerus e Hylochoerus, che di norma subiscono una infezione subclinica e che pertanto possono essere considerati come ospiti di riserva o portatori asintomatici della malattia. Ad oggi le conoscenze scientifiche sulla biologia del virus fanno ritenere che l’infezione non sia trasmissibile all’uomo quindi la malattia non viene considerata una zoonosi e l’uomo non si ammala di PSA.
Nei suidi le manifestazioni cliniche sono correlate alla situazione epidemiologica dell’infezione in un dato territorio, per cui in zone indenni si evidenziano sindromi cliniche di tipo iperacuto con morte improvvisa e di tipo acuto caratterizzate da febbre elevata, con aree emorragiche cutanee (arrossamenti) a livello delle orecchie, addome, torace, estremità distali e coda. L’animale presenta abbattimento, anoressia e incoordinazione motoria con vomito, diarrea emorragica e scolo oculare. Le scrofe gravide possono andare incontro ad aborto. La mortalità, che si avvicina a livelli pari quasi al 100%, sopraggiunge dopo una-due settimane dall’inizio dalla sintomatologia. Nelle zone endemiche e in quelle dove l’infezione è presente da molto tempo si possono osservare condizioni cliniche di tipo sub-acuto e/o croniche caratterizzate da febbre non elevata, ottundimento del sensorio, una diminuzione dell’incremento ponderale per ridotto appetito. Inoltre si possono osservare fenomeni ulcerativi di tipo cronico a livello cutaneo con necrosi e gonfiore alle articolazioni per manifestazioni artritiche. L’aborto può essere presente. L’andamento della malattia in questo caso si protrae per settimane e/o mesi e la mortalità oscilla tra il 30 e il 70%.