«E adesso, quando tornate a casa, come direte che è andata alle vostre mogli?». Male, è stata la tacita risposta che si leggeva negli sguardi dei pescatori chioggiotti, seduti in pullman, sulla via di ritorno da Verona.
Certo, non si aspettavano che il ministro Mario Catania risolvesse i loro problemi schioccando le dita. Ma la domanda rivolta ai colleghi da Denis Padoan, uno dei leader della protesta, che da una decina di giorni agita la città, rivela la preoccupazione per le famiglie e il futuro. «Il ministro non si è mostrato molto disponibile a discutere di modifiche ai regolamenti europei”, è stata la frase con cui Franco Manzato, assessore regionale alla pesca, ha gelato, nella pur gelida giornata di ieri, le tenui speranze dei pescatori. Il divieto di pesca entro le tre miglia, la rete a maglie larghe, la licenza a punti, il raddoppio delle sanzioni minime, il moltiplicarsi degli adempimenti burocratici e delle spese di gestione, sono le norme “europee” che, nel giro di due anni, hanno messo in ginocchio un settore già in forte difficoltà. Ma quel che è deciso, è deciso, e il ministro, dopo averlo dichiarato, giorni fa, alle agenzie, lo ha ripetuto ieri a Manzato, che era riuscito a strappargli, a margine del convegno inaugurale di Fieragricola, un appuntamento di pochi minuti per perorare la causa dei pescatori. Questi erano giunti numerosi, due pullman da Chioggia, uno da Pila e uno da Caorle, accompagnati dal vice sindaco Maurizio Salvagno, dai consiglieri regionali Lucio Tiozzo e Graziano Azzalin, dal presidente regionale di Legapesca, Antonio Gottardo. Arrivati prima delle 9, hanno atteso le 14.30 per sentirsi riferire le drastiche chiusure e le caute aperture del ministro. Queste ultime riguardano principalmente il ruolo del distretto dell’alto Adriatico, organismo che si vorrebbe far partire al più presto. Il 16 febbraio è convocata una riunione a Roma, con lo stesso Manzato e i suoi omologhi di Friuli ed Emilia. «Potremo usare il distretto per costruire bandi che premino la specificità della nostra pesca, per ottenere sgravi fiscali – ha detto Manzato – possiamo lavorare perché la programmazione europea sia più aderente alle nostre necessità, il ministro è anche disposto a discutere interventi per il gasolio. Ma tutto andrà valutato con i tecnici del ministero». Un resoconto, quello di Manzato, che pochi hanno udito, perché l’assessore è stato letteralmente circondato dai pescatori. «Assessore, come possiamo fare per presentare le nostre proposte senza mediazioni? Siamo stanchi delle federazioni: non ci rappresentano più», gli hanno chiesto alcuni pescatori alla fine, evidenziando un altro aspetto di questa vertenza, su cui, però, Manzato ha glissato: «Facciamo il distretto. Poi vedremo». Altri pescatori si sono riuniti con Gottardo, per capire cosa avesse detto Catania. Altri ancora hanno fermato di nuovo Manzato, che ha ripetuto il resoconto e, poco a poco, tutti hanno saputo che le loro speranze sono ridotte al lumicino.
«Ora fermiamoci in tutta Italia»
Qualsiasi intervento sia possibile attuare a favore della pesca, non sarà immediato, ma richiederà anni. Una volta di più il tentativo di “contatto” che i pescatori hanno attuato ieri nei confronti del ministro Catania, ha evidenziato questa scomoda verità: i regolamenti europei potranno anche essere poco “aderenti” alla realtà dell’alto Adriatico, ma questa critica andava fatta valere prima, anni fa, a Bruxelles, dal Governo italiano, non oggi, dalle marinerie in sciopero. Questo, ovviamente, è il punto di vista della politica. Quello di chi fa il mestiere di pescatore, invece, è che non c’è più tempo, che ogni giorno armatori e marinai sprofondano nei debiti per tirare avanti. «Paghiamo per lavorare», dicono. Oggi una nuova assemblea, in municipio, per decidere i prossimi passi. Dopo la scorsa settimana, di sciopero, dovevano seguire tre giorni di lavoro, ma tra maltempo e il clima di scontro che, in qualche altro porto dell’Adriatico, si era creato tra scioperanti e no, tutte le barche sono rimaste in banchina. Lunedì, probabilmente, si tornerà in mare, ma la prossima forma di protesta che molti vorrebbero attuare, è lo sbarco dei marinai. «Se lo facciamo in tutta Italia, saranno migliaia di persone in cassa integrazione e milioni di euro di contributi e tasse che non verranno più pagati», prevedono. Insomma, o lo Stato spende per aiutare la pesca, o spende perché la pesca sparisce. Una sorta di “muoia Sansone…” che rappresenta davvero l’ultima spiaggia. «Emigriamo in Croazia, con le nostre barche. Almeno là potremo lavorare», propone qualcuno, ad imitazione dei proprietari degli yacht che non vogliono pagare la tassa di stazionamento. Ma bisognerebbe sentire cosa ne pensano i croati. In Italia, forse l’unico “rimedio” rapido possibile è la autoriduzione dello sforzo di pesca. «Se lavoriamo tre giorni e mezzo alla settimana invece di cinque e portiamo meno pesce al mercato – dice Renzo Zennaro – e se le aste vengono fatte correttamente, l’aumento di prezzo del pescato compenserà la perdita in quantità. Poi mandiamo in pensione chi ci vuole andare, sbloccando i contributi per il fermo definitivo delle barche che, finora, sono stati versati col contagocce: solo così possiamo sperare in benefici immediati per la nostra categoria».
Diego Degan – La Nuova Venezia – 3 febbraio 2012