Repubblica. Lo ha ripetuto pochi giorni fa Manuel Barange, direttore della Divisione Pesca e Acquacoltura della Fao, in occasione della presentazione del nuovo rapporto Sofia (The State of World Fisheries and Aquaculture) a Lisbona durante la Conferenza delle Nazioni Unite sugli oceani: il consumo del pesce batte ogni anno un nuovo record (si prevedono 21,4 kg pro capite entro il 2030) ed è destinato ad aumentare. L’altra faccia della medaglia è che, mentre il prezzo del pesce è salito, da dicembre 2021 ad aprile 2022 del 25 per cento, la più parte delle risorse ittiche del Mar Mediterraneo è ancora sfruttata in modo non sostenibile, ovvero togliendo a specie note come alici, merluzzo, pesce spada, sgombro, sogliole, la capacità di rigenerarsi.
Numeri che legano a doppio filo l’attività di pesca con le questioni sociali, economiche, ambientali che riguardano il presente. Non a caso Onu e Fao avevano dichiarato il 2022 Anno internazionale della pesca artigianale e dell’acquacoltura (Iyafa 2022), ché se c’è una possibilità di invertire la rotta, è proprio nel ruolo e nel contributoche danno pescatori e piscicoltori. «Il pescatore oggi è soprattutto una risorsa», dice Paolo Tiozzo, presidente di Federcoopesca Confcooperative. «Una risorsa e un presidio del sistema marino, visto che si accorge subito degli effetti dei cambiamenti climatici sulle acque, l’innalzamento delle temperature e del livello, il cambiamento delle specie ittiche, l’aumento dei detriti. Non è un paradosso quindi affermare che il pescatore è il primo a sapere che è necessario conciliare la sua attività “predatoria” con la salvaguardia dell’ambiente e delle sue risorse. Le regole, dal fermo pesca al controllo dello sforzo di pesca, fino alla limitazione di cattura di alcune specie o alle taglie minime per la maglia delle reti e per i pesci stessi, ci sono, mentre con il disegno di legge SalvaMare approvato l’11 maggio 2022, abbiamo normato anche il recupero dei rifiuti che già avveniva spontaneamente. Quello su cui si deve puntare ora è la formazione: un pescatore “istruito” può attivare in modo più efficace le pratiche utili a mantenere questo equilibrio. D’altra parte, l’Italia ha oltre 8mila km di costa, in ogni borgo marinaro c’è una comunità di pescatori che, con attività come il pescaturismo, una chance su cui si gioca buona parte della conversione della pesca nel nostro Paese, oggi promuove anche la cultura del mare».
Una cultura che nell’anno pre-Covid ha generato un valore di mercato mondiale di 400 miliardi di dollari. In Italia, il settore della pesca e dell’acquacoltura, con 334 mila tonnellate di pescato, nel 2020 ha pesato per 1,4 miliardi di euro di fatturato. Una classifica che ci vede quarti in Europa, ma se si guarda alla qualità della produzione, allora possiamo vantare eccellenze come il primato nella produzione di vongole veraci e caviale, mitili e valore unitario della produzione. Siamo forse il Paese che meglio può rispondere alla strategia europea From Farm to Fork, che si pone l’obiettivo di rendere il sistema agroalimentare europeo in accordo con natura, sistemi alimentari e biodiversità. In tutto questo, un ruolo fondamentale, lo ricopre l’acquacoltura che, come ribadito in Sofia, può guidare la cosiddetta Blue Transformation. «Anche se la domanda di pesce non aumentasse, con una popolazione che nel 2050 arriverà a quasi 10 miliardi di persone, l’acquacoltura, con alghe, crostacei e pesci, è la risposta più sostenibile per assolvere alle crescenti esigenze nutrizionali», dice Pier Antonio Salvador, presidente dell’Associazione dei Piscicoltori italiani. «Nel mondo l’acquacoltura ha già superato la pesca e in Italia, dove è bene ricordare che continuiamo a importare il 75 per cento del prodotto ittico che consumiamo, la possibilità di mangiare un pesce pescato è ormai dell’1,2 per cento. La verità è che l’acquacoltura è l’unica alternativa per soddisfare la domanda e insieme ridurre lo sforzo di pesca. Si tratta di una produzione sostenibile a 360 gradi. Se infatti l’Europa ci dice che l’80 per cento delle imprese di acquacoltura è a conduzione familiare, termine che indica per di più un impiego importante delle donne, significa che l’impatto sociale è forte». Ma le donne sono anche la maggioranza nella pesca su piccola scala e nella “raccolta” dei molluschi, in attività laterali come la riparazione delle reti, la vendita del pescato, la gestione amministrativa dell’azienda, il confezionamento o la lavorazione. Un ruolo spesso non riconosciuto, tanto che la recente risoluzione del Parlamento Europeo Fishers for the Future invita a promuovere un ricambio generazionale e la partecipazione femminile. Segni tangibili che si sta perseguendo una reale sostenibilità, ambientale e sociale.