«Da anni le scelte dell’Unione europea ci penalizzano, poiché hanno compresso l’attività del settore più produttivo, lo strascico, la cui flotta si è ridotta di un terzo, a 12mila unità», commenta Vadis Paesanti, vicepresidente di Confcooperative Fedagripesca Emilia Romagna, che fa il pescatore a Goro. Molti operatori indicano come aggravante sulla già compromessa sostenibilità economica anche i fermo pesca: sullo sfondo l’eterno dibattito sulla conciliazione tra target europei sempre più ambiziosi a livello ambientale e la richiesta di alti standard produttivi, nel rispetto della giusta remunerazione per gli operatori.
«I rincari degli ultimi tempi hanno aggravato la situazione – prosegue Coldiretti Impresapesca – costringendo i pescherecci a navigare in perdita, o a tagliare le uscite, favorendo le importazioni di prodotto straniero».
Dati Istat alla mano, nei primi sette mesi del 2022 l’import di pesce è aumentato del 27%. «Oggi – prosegue Coldiretti Impresapesca – la produzione nazionale ammonta a circa 180mila tonnellate, mentre le importazioni di fresco e congelato raggiungono le 840mila tonnellate l’anno».
L’andamento altalenante dei consumi delle famiglie italiane nel quinquennio 2015-2020 è nei numeri dell’ultimo rapporto Eumofa (l’Osservatorio europeo del mercato dei prodotti della pesca e dell’acquacoltura): in aumento tra il 2016 e il 2017, in calo nel biennio 2017-2018 e in ripresa nel 2019, quando il valore del consumo ha raggiunto il livello più elevato di 3,45 miliardi di euro. Nel 2020 le strozzature commerciali dovute ai rincari della logistica e dei trasporti hanno contratto i volumi dell’8% e i valori del 7%.
Il complicato quadro congiunturale che ha penalizzato prodotti di largo consumo come le trote, non ha intaccato cibi di lusso come il caviale, su cui il nostro Paese mantiene la leadership, nonostante il conflitto russo-ucraino abbia compromesso l’export a Mosca, tra i principali consumatori insieme con Usa, Gran Bretagna, Germania, Brasile, Medio Oriente. «L’exploit del delivery nei tempi del Covid, ha fatto crescere il consumo di questo prodotto anche sulle nostre tavole», commenta Andrea Fabbris, direttore associazione piscicoltori italiani di Confagricoltura.
Da sempre all’inseguimento di un level playing field con i competitors europei, per arginare la concorrenza sleale, anche l’acquacoltura (60mila tonnellate di prodotto l’anno) ha risentito fortemente della crisi, a partire dal crollo dell’horeca (consumi fuori casa in ristoranti e simili) innescato dalla pandemia. Il quadro si è poi aggravato a causa dei rincari sui principali input produttivi, sui mangimi e a causa della ricerca sempre più pressante, da parte del consumatore, di prodotti a prezzo calmierato. «Produciamo circa 60mila tonnellate l’anno di pesce, ma continuiamo a essere forti importatori di prodotto ittico; circa tre quarti di quello che consumiamo», commenta Fabbris.
In tempi più recenti il conflitto russo-ucraino ha gravato pesantemente sul settore della pesca a livello europeo e alcuni operatori hanno scelto di rimanere in porto a causa degli elevati costi operativi. I dati provvisori indicano che, se i prezzi dell’energia rimarranno al livello attuale, la flotta peschereccia dell’Ue27 potrebbe perderebbe complessivamente 300 milioni di euro in profitti operativi.
L’Unione europea ha pertanto adottato un quadro temporaneo di crisi per aiuti di Stato e agevolato il ricorso al sostegno anticrisi del Feampa, prevedendo la possibilità per gli Stati membri di riassegnare le risorse finanziarie ancora disponibili a misure specifiche volte ad attenuare l’impatto socioeconomico della crisi.
Dei 987,2 milioni di euro (di cui 518 milioni contributi Ue) destinati all’Italia dall’ultimo Feampa, circa la metà saranno destinati alla pesca sostenibile, con l’obiettivo in particolare di arginare la pratica dei rigetti in mare dei pesci. Acquacoltura, trasformazione e commercializzazione sostenibile, economia blu sostenibile e rafforzamento della governance internazionale degli oceani costituiscono gli altri pilastri del Fondo cui saranno destinate le risorse rimanenti, insieme con la digitalizzazione.