Stefano Simonetti. Dalla lettura della Legge di stabilità per l’anno 2015 (n. 190 del 23 dicembre 2014, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale, Supplemento ordinario n. 99 del 29 dicembre 2014) non si hanno in realtà grandi sorprese in tema di personale delle aziende sanitarie; si ottengono, infatti, conferme di quanto era risaputo già dalla prima bozza della legge risalente a ottobre (la proroga del blocco della contrattazione) o scontato (il recepimento del Patto per la salute del 10 agosto 2014); troviamo peraltro alcune novità introdotte nell’ultimo passaggio parlamentare. In termini di articolato stiamo parlando degli ex articoli 21 e 39 con l’appendice dell’articolo 41 sul quale sarà opportuno fare un breve commento specifico, visto che nel testo definitivo è scomparso. Andando con ordine, il comma 113 provvede a eliminare fino al 31 dicembre 2017 le penalizzazioni per godimento al 31 dicembre 2013 chi consegue le anzianità contributive fissate per la pensione anticipata pur non avendo 62 anni di età.
Tale intervento ha delle ricadute indirette sulla cosiddetta “rottamazione” in quanto consente alle aziende di adottare la risoluzione unilaterale anche nei confronti di dipendenti di età inferiore ai 62 anni.
Passando ai provvedimenti generali sul pubblico impiego, il comma 254 contiene l’ulteriore proroga – più volte annunciata dal Governo – del blocco del rinnovo dei contratti collettivi a tutto il 2015. Al comma 255 si stabilisce che l’indennità di vacanza contrattuale – quindi congelata nel suo importo a quella data – sarà erogata fino a tutto l’anno 2018. Dopo questi due commi le disposizioni normative non riguardano più la generalità dei dipendenti pubblici, ma contengono interventi settoriali tra i quali, in ogni caso, spicca l’abolizione del trattamento pensionistico privilegiato ancora esistente per i militari (promozione al grado superiore l’ultimo giorno di servizio).
Tornando ai due commi che interessano direttamente, si possono fare alcune interessanti osservazioni. Innanzitutto l’ulteriore annullamento del rinnovo contrattuale vale anche per i convenzionati perché l’articolo 9, comma 24, della legge n. 122 afferma lapidariamente che «le disposizioni recate dal comma 17 si applicano anche al personale convenzionato con il Servizio sanitario nazionale» e l’articolo 17 in questione è la norma che la Legge di stabilità 2015 ha parzialmente modificato.
La seconda osservazione comporta una notevole e importante conseguenza. Rispetto a tutti gli interventi contenuti nell’articolo 9 del decreto Tremonti sono stati prorogati gli effetti del solo comma 17, mentre nulla viene detto riguardo ai commi 1, 2, 2-bis e 21 (in questo caso la proroga riguarda il solo personale non contrattualizzato) che erano stati prorogati fno al 31 dicembre 2014 dal Dpr 122/2013.
Tornano quindi ad essere liberi da vincoli e congelamenti il tetto al trattamento economico ordinario (articolo 1), la definizione del trattamento economico complessivo del dirigente rispetto al predecessore (comma 2), l’ammontare dei fondi per il trattamento accessorio (comma 2-bis), le progressioni di carriera comunque denominate (comma 21). Forse l’unico dubbio potrebbe riguardare il comma 2-bis in virtù della modifica apportata lo scorso anno.
Se però leggiamo attentamente il periodo aggiunto dal comma 456 della Legge di stabilità 2014 possiamo trovare una conferma: «A decorrere dal 1° genna io 2015, le risorse destinate annualmente al trattamento economico accessorio sono decurtate di un importo pari alle riduzioni operate per effetto del precedente periodo». La locuzione non può che essere interpretata nel senso che le riduzioni operate negli anni dal 2011 al 2014 restano storicizzate e non possono essere recuperate. Mentre non dovrebbero più essere effettuate decurtazioni per le cessazioni dal 2015 in avanti. Infatti, in relazione alla decurtazione, viene utilizzato il participio passato «operate» e se il legislatore avesse voluto rendere strutturale il meccanismo di riduzione in ragione del perso invece di «e sino al 31 dicembre 2014» oppure utilizzare la consueta formula «le disposizioni di cui al comma 2-bis si applicano anche per l’anno 2015».
Questa lettura ha certamente un carattere sistematico con le altre misure contenute nel comma 254 e seguenti della Legge di stabilità. Si potrebbe ritenere che all’odierno legislatore interessi che non vi siano maggiori spese (i rinnovi contrattuali), ma che ha rinunciato ad avere anche dei risparmi che – in fondo – in questi 4 anni sono stati molto consistenti e che ormai devono considerarsi consolidati definitivamente. Non va sottovalutata l’importanza di questa conseguenza in quanto lo sblocco di vari istituti (soprattutto i fon di contrattuali e le progressioni economiche del comparto, ma anche le fasce dell’indennità di esclusività) vale forse più di un rinnovo contrattuale.
È vero, è stato deciso un altro anno di blocco della contrattazione; tuttavia, poter ricominciare a gestire i fondi contrattuali senza doverli ulteriormente decurtare e poter ricorrere ad alcuni strumenti premianti potrebbe rivelarsi una opportunità formidabile per dare finalmente riconoscimento alla meritocrazia e poter premiare chi lavora veramente e con disagio. A tale proposito è doveroso ricordare che «le progressioni secondo princìpi di selettività, in funzione delle qualità culturali e professionali, dell’attività svolta e dei risultati conseguiti, attraverso l’attribuzione di fasce di merito» (articolo 52, comma l-bis, del Digs 165/2001) e che l’articolo 23, comma 2, dello stesso decreto afferma che l’attribuzione delle fasce riguarda «una quota limitata di dipendenti».
Concludiamo la panoramica sul più volte citato articolo 9 del decreto Tremonti per ricordare che i commi 28 (tetto di spesa per il lavoro flessibile) e 32 (possibilità di rivedere il valore dell’incarico dirigenziale alla scadenza) sono interventi strutturali che sono ormai entrati a regime nell’ordinamento. Dovrebbe essere confermata – anche se il testo del comma 453 dell’articolo 1 della legge 147/2013 parlava in realtà della contrattazione ricadente negli anni 2013 e 2014 – la possibilità di negoziare la sola parte normativa. A tale proposito, si segnala che il 18 settembre 2014 si sono aperte le trattative fra l’Aran e le Confederazioni sindacali per la definizione di un Ccnq in materia di rapporto di lavoro dei pubblici dipendenti.
Si tratta in buona sostanza di disciplinare alcune tipologie di assenza dal servizio dei lavoratori che varie leggi hanno previsto in questi anni, ma che il blocco della contrattazione ha di fatto impedito che venissero contrattualizzate. Non si hanno notizie dell’andamento della negoziazione anche se la sensazione è che alla controparte sindacale la questione non interessi molto. I commi 421-428 disciplinano la materia degli esuberi delle Province e il meccanismo di assorbimento ha creato alcune preoccupazioni nelle aziende sanitarie. Però il comma 424 cita espressamente «le Regioni e gli enti locali» mentre non menziona la sanità. Da sempre, quando il legislatore intende ricomprendere la sanità in disposizioni di carattere generale, la richiama esplicitamente utilizzando la formulazione «aziende ed enti del Servizio sanitario nazionale». Per tale motivo e per il fatto che le assunzioni in sanità sono trattate in altra parte della legge, si ritiene che le procedure di cui al comma 424 non coinvolgano le aziende sanitarie.
Le norme della legge di stabilità che riguardano il Servizio sanitario nazionale sono contenute nell’articolo 1 dal comma 556 al comma 588. Queste disposizioni attuano quanto previsto dal Patto per la salute stipulato il 10 agosto 2014 che, in particolare, all’articolo 22 disciplinava il turn over. Tra le previsioni di maggiore concretezza si rileva nel comma 566 la previsione di un Accordo Stato-Regioni per la definizione dei «ruoli, le competenze, le relazioni professionali e le responsabilità individuali e di équipe su compiti, funzioni e obiettivi» delle nuove professioni sanitarie.
L’Accordo servirà a dirimere tutti quei conflitti che sono recentemente sorti soprattutto tra medici e infermieri in tema di delimitazione del confine tra le rispettive professionalità (per tutti: quello relativo al modello organizzativo detto “see and treat” o le Udi nel Lazio). Seguono alcuni lunghi commi che riguardano le responsabilità dei direttori generali e dei commissari che non sembrano tuttavia fornire grandi elementi di novità. Con il comma 574 viene attuata la decisione di portare i Collegi sindacali delle aziende sanitarie a tre componenti, ma non viene più espressamente citata la fonte legale di questa riduzione (l’articolo 6, comma 10, della legge 122/2010): peccato che la norma stessa imponesse che la riduzione avrebbe dovuto avvenire «dal primo rinnovo successivo» al 31 maggio 2010 e sarebbe interessante calcolare quanti collegi sono stati rinnovati in questi quattro anni lasciando 5 componenti.
Nel comma 582 sembrerebbe di poter riscontrare il primo effetto del riassetto del vertice del ministero della Salute – che peraltro nel frattempo è cambiato – e appare francamente singolare che il comma 3 si occupi così dettagliatamente dell’articolazione organizzativa veterinaria addirittura «riconoscendo l’opportunità che le strutture organizzative… sono possibilmente individuate quali strutture complesse».
Nel comma 583 troviamo l’annunciato allentamento dei vincoli assunzionali che gravano sulle Regioni in piano di rientro. Nel comma 584 viene portato fino al 2020 il vincolo dell’ 1,4% delle spese per il personale. In tal senso sarebbe opportuno declinare meglio quali costi non concorrono alla composizione dell’importo da comparare perché l’elencazione del comma 71 dell’articolo 2 della legge 191/2009 è incompleta e non soddisfacente e genera senz’altro comportamenti non omogenei tra le aziende.
È scomparso l’ex articolo 41 cioè la norma con la quale si intendeva riproporre il comma 88 dell’articolo 1 della Legge di stabilità 2013 (la legge 228/2012) concernente la verifica straordinaria del personale sanitario inidoneo. La vicenda è singolare perché tale operazione era già stata pianificata due anni fa ma è stata del tutto dimenticata, tanto che il Dpcm che doveva fissarne i criteri e modalità di esecuzione non è stato nemmeno adottato.
Provo ad azzardare alcune ipotesi di motivazione per il ritiro della norma. La prima è che l’operazione avrebbe generato un enorme costo per l’Inps che con tutte le altre incombenze che gli sono state scaricate (monetizzazione congedo parentale, bonus bebé, prepensionamenti ecc.) non è probabilmente in grado di sostenere. La seconda è che la norma era in fondo la duplicazione di quella di due anni fa e che quindi non c’era la necessità di ripeterla. La terza è che la pressione dei diretti interessati (all’interno del « personale sanitario» è evidentemente presente la lobby dei medici) ha suggerito l’abbandono della revisione. Unitamente alla Legge di stabilità gli ultimi giorni del 2014 hanno portato una nuova bozza del Dpcm sulla stabilizzazione dei precari del quale non si avevano notizie da un anno esatto. Ebbene, sembra che il decreto sia in dirittura di arrivo con il parere della Conferenza, ma nel leggere il testo si evidenzia subito una clamorosa novità: secondo l’artìcolo 1 che tratta dei destinatari, i concorsi sono riservati «al personale del comparto sanità e a quello appartenente all’area della dirigenza medica e del ruolo sanitario».
In questa confusa formulazione è agevole rinvenire l’intenzione di escludere dal processo di stabilizzazione i titolari dei contratti ex articolo 5-septies dei ruoli Pta. La volontà politica si è espressa in tal modo e non resta che prenderne atto ma non si può non rilevare che la norma di legge ordinaria che è a monte del Dpcm non li esclude assolutamente visto che parla genericamente di « professionalità del Servizio sanitario nazionale» (articolo 4, comma 10, della legge 125/2013). E doveroso aggiungere che i diretti interessati, non rientrando nel percorso, non beneficiano della proroga e non sono neanche più coperti dalla deroga alla tassativa durata del contratto a tempo determinato.
Il Sole 24 Ore sanità – 14 gennaio 2015