Chi controlla veramente gli enti previdenziali dei professionisti?E cosa succederà quando i portafogli delle Casse saranno effettivamente sotto la vigilanza della Covip, l’autorità che dal 1996 sovrintende al buon funzionamento dei fondi pensione «a tutela del risparmio destinato a previdenza complementare»?
Per rispondere a queste domande occorre tornare alla scorsa estate, quando la manovra di luglio ha esteso anche alle Casse l’ombrello della Commissione di vigilanza presieduta da Antonio Finocchiaro, suscitando l’allarme di molti presidenti, timorosi di perdere autonomia a favore della Covip, considerata «inadeguata» a monitorare anche le Casse dei professionisti perché «più complesse dei fondi previdenziali».
«Se abbiamo una vigilanza perla previdenza complementare che è su base volontaria – spiegava l’allora ministro del welfare Sacconi – la dobbiamo avere anche su una previdenza che è primaria e obbligatoria, unico segmento del mercato finanziario che ne risulta privo».
La manovra è diventata legge, ma i decreti attuativi dopo otto mesi ancora non ci sono (il termine per i ministeri di Economia e Lavoro era sei mesi). Le Casse si trovano cosl in un limbo e il doppio livello di vigilanza evocato dall’ex ministro – «cartolare e successiva» (sulla documentazione fornita, come quella svolta oggi dai due dicasteri) e«invasiva e contestuale» (in sede, anche con ispezioni della Guardia di finanza) – non si è di fatto mai realizzato. Il controllo è ancora spartito tra i due ministeri, una commissione bicamerale (che non ha ancora concluso la sua indagine, chiedendo tempi supplementari) e la Corte dei Conti. Troppo poco, incongruo e soprattutto inefficace, come dimostrano gli inciampi di alcuni enti nella finanza derivata. In attesa che la Covip acquisisca la titolarità al monitoraggio sugli investimentie sul patrimonio di questi enti – ma chi potrà sanzionare? ecco un’altra incongruenza da sciogliere-possiamo immaginare che la composizione ottimale di portafoglio a cui le Casse dovranno attenersi si ispirerà a quella dei “fratelli maggiori” sorvegliati da Covip, i fondi pensione, che diventeranno veri e propri benchmark per quegli enti, dettandone criteri elimiti sulla base di quanto prevede la loro legge istitutiva, la 703 del 1996. Una legge ormai datata e di cui, da tempo, si annuncia una revisione (esiste un testo condiviso e “bollinato” da Covip al ministero dell’Economia), per tenere conto dell’evoluzione dei mercati e dell’innovazione finanziaria. Un primo confronto grezzo tra l’asset allocation attuale dei fondi pencinne e quello delle Cacce previdenziali dei professionisti restituisce la fotografia di una gestione poco “in linea” con il benchmark che senz’altro dovrà essere ripensata o adeguata. I fondi pensione negoziali (o chiusi, 38 fondi riservati a diverse categorie di lavoratori dipendenti, oltre 2 milioni di iscritti, 22 miliardi di risorse), che hanno caratteristiche non del tutto dissimili dalle Casse, nel 2010 avevano una composizione del patrimonio concentrata peri160,8% in titoli di Stato, il 17,4% in azioni, I’8,7%inobbligazioni e certificati di deposito, il 7,7%in fondi comuni ei14,4%in depositi. Egli immobili? Zero. Lo vieta la legge 703/96chelimita al20%l’investimento alle sole società immobiliari o alle quote di fondi comuni immobiliari. Un vincolo inesistente per i fondi pensione più vecchi. I cosiddetti fondi “preesistenti” (anteriori al ’96) nel 2010 erano 375, contavano quasi 668 mila iscritti e un patrimonio cospicuo
di 42 miliardi, di cui il 17,1% investito direttamente nel mattone, metà di quanto impiegato in Bot, Btp e Cct. E cosa succede invece alle Casse dei professionisti? Un quarto del patrimonio totale (41,3 miliardi) – circa 10 miliardi – è costituito proprio da immobili (e ne valgono almeno 15). E di questi 10 miliardi, il 30% ovvero quasi 3 miliardi è nelle mani dell’Enasarco (agenti e rappresentanti di commercio) e il 24% in quelle dei medici dell’Enpam (2,3 miliardi). Nel caso dell’Enasarco parliamo di oltre la metà (il 53%) del loro portafoglio totale. Ben al di sopra di ogni benchmark. Cosl l’Inpgi (giornalisti) ha quasi 700 milioni parcheggiati nel mattone (il 47%del patrimonio totale). Con rendimenti non proprio entusiasmanti, in taluni casi poco sopra l’1%, in altri del 3%. «Stiamo attenti però, perché la legge 703 non potrà essere estesa a tutte le Casse tout court», avverte Sergio Corbello, presidente di Assoprevidenza. «Sarebbe un errore, un eccesso di grossolana semplificazione. E poi quasi impossibile da realizzare», prosegue. Perché? «Vi sono due tipi di Casse professionali: quelle privatizzate dal decreto legislativo 509 del 1994 e quelle nate come private dal decreto legislativo 103 del 1996 (psicologi, infermieri, biologi, periti industriali). Solo queste ultime reggono il parallelo con i fondi pensione perché sono a contribuzione definita con posizioni individuali e tendono a privilegiare l’investimento mobiliare sul mattone perché hanno come obiettivo l’accrescimento del patrimonio. Al contrario, gli enti privatizzati sono a prestazione definita (vale ancora il metodo retributivo per lo più, ndr) e creano riserve per rispondere alle passività previdenziali ed erogare così la prestazione, la pensione. Per loro gli immobili sono investimenti anticidici, di sicurezza, cosl come i titoli di Stato, che garantiscono forte protezione del capitale, rendimento medio ma costante e assicurato, apprezzamento del patrimonio significativo nel lungo periodo. Certo, alcuni eccessi nel mattone andranno ripara-metrati. Ma sono realtà differenti dai fondi pensione».
Repubblica Affari&Finanza – 19 marzo 2012