Che fine ha fatto l’Ape? L’«anticipo pensionistico», secondo la legge, doveva partire il primo maggio. Ma il governo è in forte ritardo. Per l’Ape agevolata, a carico dello Stato, il necessario dpcm (il decreto della presidenza del consiglio) è fermo ai rilievi del Consiglio di Stato. E l’Ape volontaria è ancora più indietro. Impossibile presentare le domande e ora il governo pensa di far slittare i termini a luglio
Dal Corriere della Sera, pagina a cura di Enrico Marro. Il capitolo più importante della riforma che punta a introdurre elementi di flessibilità nella legge Fornero è l’Ape agevolata o «social», cioè la possibilità per determinate categorie, di lasciare il lavoro già a 63 anni, prendendo dallo Stato un assegno non superiore a 1.500 euro lordi al mese fino al compimento dei requisiti per la pensione di vecchiaia (66 anni e 7 mesi). L’assegno è previsto per 4 categorie: disoccupati senza più ammortizzatori da almeno 3 mesi; invalidi civili (con almeno il 74% di invalidità); lavoratori con parenti di primo grado disabili a carico; addetti ad attività particolarmente gravose per almeno 6 anni negli ultimi 7. Oltre ai 63 anni d’età sono richiesti 30 anni di contributi, che salgono a 36 per l’ultima categoria. Il governo ha previsto l’arrivo di 35mila domande quest’anno, stanziando 300 milioni di euro, che salgono a 609 milioni nel 2018 e a 647 nel 2019 (l’Ape è sperimentale, le domande si potranno presentare solo nel biennio 2017-2018).
Il regolamento applicativo dell’Ape, un dpcm (decreto della presidenza del consiglio dei ministri), è stato inviato dal governo al Consiglio di Stato solo il 19 aprile scorso. Eppure Palazzo Chigi avrebbe avuto tutto il tempo per chiudere la partita in tempo, visto che la legge di Bilancio è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 21 dicembre 2016. Con una procedura d’urgenza il Consiglio di Stato ha dato il proprio parere (32 pagine) il 26 aprile. E a quel punto la faccenda si è complicata perché la suprema magistratura amministrativa ha mosso rilievi sostanziali al dpcm. In particolare, il Consiglio definisce «illegittima» l’inclusione tra i beneficiari dell’Ape degli operai agricoli e di coloro che non hanno i requisiti per la Naspi (indennità di disoccupazione) purché siano senza lavoro da più di 3 mesi. Tale ampliamento della platea, si dice nel parere, si può fare solo cambiando la legge e non con un semplice regolamento.
Mentre il dpcm è fermo, il primo maggio è passato e le domande non si possono presentare. Il governo pensa ora di dare più tempo del previsto per presentarle (il 15 o il 31 luglio anziché il 30 giugno). Ma se il regolamento non sarà sbloccato subito, tutti i termini rischiano di saltare. L’Inps dovrebbe infatti stilare entro il 30 settembre la prima graduatoria degli aventi diritto in rapporto ai 300 milioni disponibili (si partirà dai più anziani). Il Consiglio chiede inoltre al governo di correggere il dpcm per garantire che il pagamento dell’Ape avvenga, per chi ne ha diritto, con effetto retroattivo dal primo maggio. Perché, per come è scritto il testo, c’è il rischio che non sia così. Insomma, un bel pasticcio.
Il Corriere della Sera – 8 maggio 2017