Per quanto uno abbia intervistato qualche professore, un Nobel mette soggezione. Se poi il Nobel per la Medicina è anche un Premio Balzan e un «Immortel» dell’Académie française, si rischia la paralisi. Ma alla vaccinazione ci pensa Jules Hoffmann, immunologo di origini lussemburghesi, il contrario dell’accademico altezzoso. Si è presentato l’altro ieri sera a Milano come un signore elegante e curioso.
Quando, dopo la lezione «L’immunità innata: dagli insetti all’uomo», in occasione della presentazione del Premio Balzan 2015, gli chiedo copia del testo, si avvicina con gli appunti: «Tenga questi, poi, mi raccomando, li distrugga».
Il lavoro di Hoffmann – «un vero europeo», lo definisce il filosofo Salvatore Veca – è un esempio dei legami tra uomo e ambiente. Quest’anno all’Università di Strasburgo, dove lavora, parte la costruzione del nuovo Insectarium: «È un intero edificio – racconta – che triplica lo spazio dedicato allo studio della zanzara. Una simile dimensione è necessaria per ospitare i laboratori dove si studia come prevenire la malaria».
Quello che ha intrigato Hoffmann fin dai primi studi da biologo all’Istituto zoologico di Strasburgo è l’immunità innata: «Notavo che fino al 1990 veniva trascurata la domanda: “Come mai gli insetti non si ammalano delle malattie che portano all’uomo?”. E di conseguenza: c’è qualcosa da scoprire che può essere utile per difenderci?».
L’aspettativa media di vita – ricorda lo studioso – è rimasta per 10 mila anni intorno ai 25 anni. Poi, negli ultimi 150, è aumentata spettacolarmente fino agli attuali 80. Il progresso è il risultato di scoperte da parte della microbiologia e dell’immunologia, che hanno posto le basi per tre novità: l’introduzione dell’igiene, degli antisettici e della sterilità; la vaccinazione; gli antibiotici. «Nonostante ciò – rivela Hoffmann – la lotta alle malattie infettive è deprimente, perché 50 mila persone muoiono ogni giorno per infezioni. I vaccini non coprono tutto e molti ceppi microbici resistono agli antibiotici. La genetica molecolare offre, però, un fronte di speranza per la facilità con cui si può sequenziare il genoma e per le possibilità offerte dagli organismi transgenici».
Per Hoffmann «studiare gli insetti significa conoscere l’80% delle specie viventi, creature che mettono l’umanità a rischio di malattie a causa della capacità vettoriale». Per anni il suo laboratorio si è focalizzato sulla mosca, «che si difende contro le infezioni solo con l’immunità innata. Caratteristica che – è emerso – riguarda al 100% le difese di tutti gli invertebrati, cioè il 95% delle specie terrestri, e probabilmente al 95% le stesse difese dell’uomo. La mosca produce dal fegato sette sostanze antibiotiche che, secrete nel sangue, combattono i microrganismi invasori. Anche noi umani creiamo molecole simili nelle barriere epiteliali dell’intestino, nei polmoni, nel tratto urogenitale e nella pelle. L’obiettivo, per anni, è stato decifrare il funzionamento dei geni che portano alla produzione di queste sostanze antibiotiche e oggi una dozzina di società biotech stanno verificando il potenziale di questo sistema di difesa nella terapia umana. È così che ho incontrato Ralph Steinman di New York e Bruce Beutler di San Diego, poi Nobel con me nel 2011».
Il punto che Hoffmann sottolinea è quanto gli esseri viventi siano simili: «Quando iniziammo, 20 anni fa, questi studi ci aspettavamo di trovare una situazione diversa tra insetti e mammiferi. Ci sbagliavamo. In entrambi i casi l’immunità innata è presente: i ricettori trans-membrana sono attivati da citochine processate o dall’interazione diretta con strutture microbiche, poi l’attivazione è trasmessa, attraverso proteine adattatrici simili, a un complesso attivatore e all’espressione dei geni».
Ma come si spiega che i meccanismi di controllo dell’immunità innata siano così ben conservati tra mosche e uomo? E quando è apparso il sistema? Hoffmann ricorda come il genoma di migliaia di organismi sia ora sequenziato e, quindi, sappiamo come già le antiche anemoni di mare avessero quelle caratteristiche. «In altre parole – spiega il Nobel – questa linea di difesa apparve con la multicellularità un miliardo di anni fa ed è rimasta intatta fino agli esseri umani, attivando e rafforzando la risposta immunitaria adattiva, che comparve nei pesci 450 milioni di anni fa. Ma, mentre la seconda è stata ampiamente studiata, la prima conserva con la sua longevità ancora parte del suo mistero innato. Proprio come la vita».
La Stampa – 9 settembre 2015