di Stefano Simonetti, Il Sole 24 Ore. Prosegue ininterrotto il dibattito pubblico sui cosiddetti medici “a gettone”. Ormai gli interventi non sono più limitati agli addetti ai lavori ma si estendono anche all’esterno del perimetro ristretto della Sanità. Sono molti gli Ordini dei medici che hanno preso posizione contro il fenomeno e, fin qui, sembra normale che un ente preposto alla tutela della professione intervenga sulla questione. Il 15 gennaio scorso il Dataroom di Milena Gabanelli sul Corriere della Sera ha pubblicato una esaustiva e documentata inchiesta sui numeri della diffusa tematica. Piuttosto significativo il fatto che il Dataroom ha quantificato il fenomeno riferendo che, solo nel 2022, nelle principali Regioni del Nord Italia i turni appaltati in Lombardia, Veneto, Piemonte ed Emilia-Romagna hanno superato i 100 mila.
L’ultima arrivata è la Corte dei Conti che, per voce della Procura regionale del Lazio, ha preso atto del fenomeno. In occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario lo scorso 24 febbraio, il Procuratore regionale ha infatti annunciato l’intenzione della Procura di approfondire “il problema” dei cd “medici a gettone”. Afferma la relazione che “Il nostro intento sarà quello di verificare possibili omissioni nella individuazione di profili organizzativi che potrebbero consentire alle aziende ospedaliere, di far fronte alle esigenze della medicina soprattutto quella di urgenza”. Da sottolineare che per la Procura laziale non si tratta di verificare la legittimità in se stessa di questi appalti ma di controllare se esistono i presupposti per il ricorso alla esternalizzazione, cioè – in altre parole – se le aziende sanitarie abusino del ricorso all’appalto. Infatti, che questi affidamenti siano “legittimi”, almeno in via generale e astratta, è purtroppo accertato, come ho cercato di spiegare in un articolo del 25 febbraio , segnalando anche sinteticamente quali potrebbero essere i contenuti di una legge correttiva.
Si tratta di intervenire con un provvedimento legislativo mirato, peraltro annunciato dal ministro della Salute, e questo intervento non è più procrastinabile come è ormai assolutamente prioritaria una nuova legge sulle violenze nei confronti dei sanitari. Ecco la sintesi finale sull’odierna situazione: se si vuole veramente salvare il Servizio sanitario nazionale, secondo quanto affermano tutti, occorre iniziare da queste due questioni, i medici “a gettone” e le violenze. Tutte le altre criticità – e sono tante e tutte gravi – hanno tempi medi o lunghi come l’accesso alle facoltà di medicina, i posti di specializzazione, la riforma dei concorsi, il rinnovo del contratto collettivo, anche se quest’ultimo potrebbe davvero essere chiuso in poche settimane. Ma se non si comincia col fare qualcosa immediatamente, il sospetto che la deriva implacabile del servizio pubblico sia davvero dolosa e non solo, e sempre, colposa.
Ma non tutte le voci sono unanimi nel condannare il ricorso ai “gettonisti”. Pochi giorni fa un medico libero professionista ha scritto a un sito specializzato lamentandosi dei giudizi negativi che da più parti piovono in materia, soprattutto in relazione ai costi sostenuti impropriamente dalle aziende. Afferma costui di aver lasciato volontariamente la struttura pubblica e rimarca che i dati economici che vengono diffusi non sono veritieri perché sul suo “gettone” di 100 euro deve pagare l’Enpam e la ritenuta d’acconto Irpef. È incredibile come si possano travisare i contenuti delle questioni. Secondo tale lagnanza, il medico in regime di dipendenza è esente da contributi e imposte e i suoi 30 o al massimo 60 euro orari sarebbero netti ! Questo potrebbe essere semmai vero se fosse stata onorata la promessa fatta due anni fa dal Governo riguardo alla defiscalizzazione e decontribuzione del salario accessorio, come avviene per il privato (paragrafo 6 del Patto per il Lavoro pubblico del 10.3.2021); ma, come è noto, l’impegno non è stato realizzato. Solo per debito informativo e amore per la precisione, vorrei ricordare che sullo stipendio di un medico strutturato gravano trattenute previdenziali del 9,85% per la Cps, del 2% per la Inadel, dello 0,5% per l’Onaosi e una Irpef marginale del 43%. Anche se effettuata in prestazioni aggiuntive a 60 euro l’ora, una notte al Pronto soccorso vale per un dipendente non più di 300 euro netti.