di Luigi Ripamonti Si chiamano Zhong Zhong e Hua Hua, e sono le prime due scimmie al mondo clonate con la tecnica della pecora Dolly. La loro nascita è stata annunciata sulla rivista Cell dall’Istituto di neuroscienze dell’Accademia cinese delle scienze a Shanghai. Hanno, rispettivamente, otto e sei settimane di vita. Non è la prima clonazione in assoluto di un primate. La prima fu quella di Tetra, una femmina di macaco, ottenuta negli Stati Uniti nel 1999 con la scissione dell’embrione, un procedimento che imita il processo naturale all’origine di gemelli identici.
Nel caso di Zhong Zhong e Hua Hua invece è stata usata la tecnica Scnt (Somatic Cell Nuclear Trasfer) cioè il trasferimento del nucleo prelevato da una cellula di un individuo in una cellula uovo non fecondata di un altro soggetto, privata del suo nucleo.
Finora ogni tentativo di questo tipo sulle scimmie era fallito perché i nuclei delle loro cellule differenziate (cioè già maturate) contengono geni che impediscono lo sviluppo dell’embrione. I ricercatori hanno trovato gli «interruttori» molecolari giusti per avviare il processo e portarlo a buon fine.
Si tratta di un risultato notevole sotto molti punti di vista, perché apre la prospettiva di avere a disposizione per gli studi animali di questo tipo geneticamente identici, cosa che oggi è possibile con specie meno vicine all’uomo, come i topi. Ciò servirà a escludere molte variabili su modelli precisi, rendendo disponibili termini di paragone perfetti per capire quanto incide, per esempio, una modificazione o un intervento terapeutico. In linea teorica il risultato potrebbe poi avere applicazioni anche per la preservazione di specie in via di estinzione.
«Ma l’aspetto più importante è probabilmente un altro» sottolinea Carlo Alberto Redi, genetista dell’Università di Pavia e accademico dei Lincei. «Ed è il fatto che i ricercatori cinesi sono evidentemente riusciti a identificare i meccanismi che consentono di “accendere” o “spegnere” determinati geni per fare in modo che una cellula somatica del macaco possa essere messa in condizione di “tornare” a uno stato tale da poter essere poi indirizzata a uno sviluppo diverso».
«Per la comunità scientifica avere a disposizione queste informazioni può essere molto utile» continua l’esperto, «perché l’epigenetica, cioè tutto quanto interviene sul Dna per influenzarne il comportamento, è qualcosa che riguarda tutti noi, e condiziona lo sviluppo di molte malattie. Capire in che modo l’ambiente interviene sul Dna e come lo modifica in modo tale da farci ammalare, è uno dei filoni di ricerca di maggior interesse in tutto il mondo oggi». «Per fare alcuni esempi: come fa il fumo a intervenire finemente sul Dna delle cellule per farle diventare cancerose è un problema di epigenetica» spiega Redi. «Così come lo è, ad esempio, l’azione degli inquinanti ambientali, di ciò che mangiamo, eccetera».
«Unico limite che mi sembra di ravvisare da quanto è stato comunicato finora è che il risultato è stato ottenuto a partire da fibroblasti fetali, quindi con una differenziazione probabilmente non ancora completa, ma ciò non toglie che sia un risultato importante».
Più vicini all’uomo progettato a tavolin. E forse nascerà anche lui in Oriente
di Edoardo Boncinelli. U n passo dopo l’altro ci stiamo avvi-cinando al gran momento, quello in cui faremo nascere uomini con il patrimonio genetico modificato, patri-monio che potranno anche trasmettere a figli e nipoti. Se ne parla da tanto tempo, con un misto di entusiasmo e preoccupa-zione. Prepariamoci! Questa volta siamo arrivati ai macachi e l’esperimento è stato fatto in Cina, due elementi di grande no-vità. La Cina è un colosso che da qualche tempo si è potentemente organizzato per lavorare anche in campo biologico. Sem-bra ieri che apprendisti ricercatori tren-tenni venivano dalla Cina nei nostri labo-ratori per imparare il «mestiere» di bio-logi molecolari. Alloggiavano in tanti in piccoli appartamenti e… imparavano, be-ne a quanto pare, se adesso sono in gra-do di fare tantissimi esperimenti magari anche meglio di noi. Dalla prima pecora, l’immortale Dolly del 1996, alle capre, a cani e cavalli, per non parlare dei porcel-li, i ricercatori hanno dato vita a moltis-simi animali messi insieme in modo non convenzionale, ma partendo da cellule coltivate in laboratorio che possiedono un patrimonio genetico selezionato da noi. E ora siamo alle scimmie! Perché la cosa è interessante? Perché le scimmie sono animali più complessi e più simili a noi, e perché non sapevamo bene in che cosa consistesse questa nuova complica-zione. Come lo sviluppo di un embrione di mammifero richiede la conoscenza di più password dello sviluppo di un inver-tebrato, così il patrimonio genetico di una scimmia appare «più difeso» di quello di una pecora o di un suino. Per-ché? Bella domanda. Non lo sappiamo, ma ci piace credere che sia il prezzo della complessità. Può essere, ma è molto più probabile che questa particolarità sia da mettere in connessione con il numero di figli per cucciolata: meno cuccioli più protezione, anche senza considerare le dimensioni del cranio. Come si vede si imparano sempre più cose. Diceva Solo-ne: «Più invecchio e più imparo». Il pro-blema è che non basta imparare. Occor-rerebbe anche essere sempre più saggi. Facendo cosa, per esempio? Riflettendo e non dando mai nulla per scontato. Possi-bilmente senza condannare. Il compito che l’universo ci ha assegnato è dare un nome alle cose e commentarle, senza ce-dere alla nostra passione predominante: giudicare e condannare, come tanti pic-coli Minosse. Ricordiamoci che non sia-mo al centro dell’universo, e nemmeno più al centro del mondo civile. È molto ragionevole che il primo uomo «proget-tato a tavolino» abbia gli occhi a man-dorla, o indossi un sari.
Il Corriere della Sera – 25 gennaio 2018