Svuotata, certo. In parte sminata, di sicuro annacquata. E però intanto la legge regionale sui «veneti minoranza nazionale» (o «sul bilinguismo», com’è stata presto ribattezzata) intanto ieri è passata: 27 voti a favore – appena uno sopra la maggioranza – 16 contrari e 5 astenuti, i consiglieri di Forza Italia e Fratelli d’Italia più l’alfaniano Marino Zorzato.
Numeri alla mano, dunque, oltre alla scelta di questi ultimi di non schierarsi con l’opposizione, rimanendo fuori dalla contesa nonostante fin dall’inizio si fossero detti contrari all’iniziativa degli «amici leghisti», si sono rivelati determinanti per il via libera al provvedimento i voti «extra maggioranza» dei «tosiani» Maurizio Conte, Giovanna Negro e Andrea Bassi, che hanno preso la strada opposta al loro capogruppo, Stefano Casali, contrario («Ma non c’è alcuna spaccatura – precisano i quattro all’unisono – abbiamo rispettato la diversità di vedute»).
La legge pensata dall’indipendentista Loris Palmerini, già presidente dell’Autogoverno del Popolo Veneto e del Tribunale dello Stato delle Venezie, è quindi oggi una legge della Regione Veneto. Eliminato il controverso «patentino di bilinguismo» che avrebbe dovuto rilasciare l’Istituto Lingua Veneta (presieduto dallo stesso Palmerini), dopo i ritocchi apportati dal relatore Riccardo Barbisan il testo prevede che sia la giunta ad individuare tramite un bando le associazioni «maggiormente rappresentative» cui spetterà il compito di raccogliere e «valutare» (elemento questo al centro dello scontro in aula) le richieste di quanti vorranno liberamente iscriversi all’«albo della minoranza», per poi rivendicare i diritti previsti dalla Convenzione quadro approvata dal Consiglio d’Europa. Di quali diritti stiamo parlando? La Convenzione è molto generica: vieta le discriminazioni davanti alla legge, riconosce la libertà di riunione, associazione ed espressione, la libertà di ricevere o di comunicare nella lingua minoritaria (anche nei mezzi di comunicazione di massa, nel nostro caso la Rai), riconosce il diritto di apprendere la lingua minoritaria e permette perfino alla minoranza di creare e gestire scuole private tutte sue. È chiaro che si tratta di una cornice talmente ampia che all’interno, un domani, vi si potrà mettere qualunque cosa. Sempre che il governo non la impugni e la Corte costituzionale non la mandi al macero, come sperano Pd, Cinque Stelle e forse anche qualcuno nel Carroccio.
La minoranza ha provato anche stavolta l’arma dell’ostruzionismo («Sui cartelli scriveremo a ‘inanz , drit o par de là ?» il dem Graziano Azzalin; «Chi pagherà la formazione dei traduttori e degli interpreti, visto che tra Oca Marina e Calto, in Polesine, neppure parlano lo stesso dialetto?» la pentastellata Patrizia Bartelle; «Chiedo il riconoscimento della minoranza nella minoranza, dai vicentini ai bellunesi, passando per i cimbri» il dem Stefano Fracasso) ma contro la Lega, granitica nel suo ostinato mutismo, col presidente Roberto Ciambetti deciso a tirare dritto come un panzer, c’è stato poco da fare. Alla fine al Pd non è rimasto che sbottare: «Siamo all’inutile teatrino, sappiamo tutti che la Consulta cancellerà questa legge – ha detto Claudio Sinigaglia – eppure andate avanti comunque, magari per gridare domani contro lo Stato brutto e cattivo». E mentre Bruno Pigozzo citava una storica massima del decano del consiglio, Carlo Alberto Tesserin («So veneto ma no so mona !»), Piero Ruzzante tuonava contro la prevista «valutazione del “grado di veneticità” da parte di queste associazioni gestite da non si sa chi, una stupidaggine che ricorda il Tribunale della razza», evocato la scorsa settimana anche dal forzista Massimo Giorgetti. Tant’è, i proponenti, tra cui l’ex sindaco di Resana Loris Mazzorato, si dicono comunque soddisfatti: «La legge è stata cambiata parecchio, in alcuni punti possiamo pure dire svuotata – afferma Mazzorato – ma in politica si sa, si deve mediare e si è arrivati ad un compromesso. Il principio comunque resta ed è ciò che più conta, l’obiettivo politico è stato raggiunto. Cosa cambia da domani per i veneti? Da domani nulla, sarà un percorso lungo».
Laconico il commento della capogruppo della Lista Zaia, Silvia Rizzotto: «Adesso pensiamo al bilancio, va». Sulla stessa linea il governatore Luca Zaia in persona: «Il consiglio ha votato, viva la democrazia. La maggioranza non si è spaccata, ora l’unica cosa che mi interessa è il bilancio».
Marco Bonet – Il Corriere del Veneto – 7 dicembre 2016