di Claudio Testuzza. Con un ultimo emendamento all’articolo 58-bis il Governo realizzerebbe, in sede di definizione della legge di bilancio per il 2023, un ulteriore taglio per i futuri pensionati, rientranti nel regime del sistema retributivo o misto, quali i dipendenti pubblici iscritti all’Inpdap ed, in particolare, i medici dipendenti dal Servizio sanitario, già iscritti alla Cassa pensioni sanitari (Cps). Infatti, con l’emendamento proposto, vengono modificate le percentuali di rendimento pensionistico contenute nella “ Tabella A” della legge 965/1965 per le Gestioni pensionistiche ex-Inpdap, ossia Cassa per le pensioni ai dipendenti degli Enti locali (Cpdel), Cassa per le pensioni dei sanitari (Cps) e Cassa per le pensioni agli insegnanti di asilo e di scuole elementari parificate (Cpi) e nella “Tabella A” della legge 16/1986 per la Gestione degli Ufficiali giudiziari (Cpug).
Le aliquote di rendimento sono valori che, ai fini dell’applicazione del metodo retributivo, che interessa coloro che hanno maturato al 31 dicembre 1995 almeno 18 anni di contribuzione ed , in parte, coloro che ne posseggono un numero di anni inferiore, vengono utilizzati per tradurre in pensione le ultime retribuzioni percepite dal lavoratore.
In pratica le aliquote di rendimento sono i parametri utilizzati per il calcolo delle quote A e B di pensione con il sistema retributivo che traducono la busta paga degli ultimi anni di lavoro in pensione. La quota A identifica quella parte di pensione, calcolata secondo il sistema retributivo, relativa alle anzianità contributive maturate dal lavoratore sino al 31 dicembre 1992, cioè prima dell’entrata in vigore della Legge Amato (Dlgs 503/1992) con il quale il legislatore ha cambiato le regole di calcolo della pensione retributiva. Per tale ragione sono interessati a tale meccanismo di calcolo coloro che hanno anzianità contributiva accreditata prima del1993. Nello specifico per i lavoratori iscritti all’assicurazione generale obbligatoria, Inps, la Quota A si basa sulla media degli ultimi 5 anni ( 260 settimane ) delle retribuzioni utili percepite dall’interessato. Per ogni anno di lavoro soggetto a contribuzione la regola generale riconosce il 2 % della retribuzione pensionabile entro un tetto di 40 anni di contributi. Così ad esempio un lavoratore con 40 anni di contributi potrà ottenere una rendita pensionistica dell’80 % delle ultime retribuzioni (40 x 2 %), chi ha lavorato per 30 anni otterrà invece una pensione pari al 60 % delle ultime retribuzioni percepite (30 x 2 %). Per i lavoratori del pubblico impiego ( ex Inpdap ) le aliquote sono in gran parte diverse e più generose rispetto a quelle vigenti nell’assicurazione generale obbligatoria e relative ai dipendenti del settore privato.
In particolare le aliquote di rendimento, per i dipendenti delle amministrazioni statali, risultano individuate dall’articolo 44 del Dpr 1092/1973 che attribuisce un rendimento tondo del 35% della base pensionabile per i primi 15 anni di servizio (ovvero 2,33% per ogni anno di servizio sino al 15° anno). Gli iscritti alle ex Casse di previdenza amministrate dal Tesoro, (Cpi, Cps e Cpdel), cioè i dipendenti degli enti locali e del comparto sanità, utilizzano aliquote di rendimento, ancora migliori, contenute nella tabella A allegata alla legge n. 965/1965, che attribuiscono un rendimento iniziale (anno zero) del 23,865 %, dell’82,5 % a 35 anni e del 100 % al traguardo dei 40 anni di contribuzione. Ricordiamo che Per i dipendenti iscritti alle ex casse di previdenza amministrate dal tesoro (Cpdel, Cps, Cpi e Cpug) la base pensionabile è costituita dalle voci aventi caratteristiche di fissità e continuità percepite nell’ultimo mese di servizio moltiplicate per 13 mensilità. Questi coefficienti sono stati rimessi in discussione dall’articolo 17 della legge 724/1994 che ha ridotto i rendimenti al 2 % annuo per le anzianità di servizio a partire dal 1° gennaio 1995 eliminando, così, gran parte delle differenze con l’assicurazione Inps. La legge n. 335/1995 ha previsto, tuttavia, che l’applicazione dell’aliquota al 2 % ad anno non può determinare un trattamento di pensione superiore a quello che sarebbe spettato in base all’applicazione delle aliquote previste in precedenza. Tenuto conto della particolare progressione dei coefficienti della tabella “A” della legge n. 965/1965 che prevede un rendimento inferiore al 2% fino al limite dei 22/23 anni di servizio e superiore al 2% dopo il 23° anno, per anzianità contributive inferiori a 22/23 anni, si continua a fare riferimento alla tabella “A”, mentre per le anzianità superiori a 23 anni si deve sommare al coefficiente corrispondente agli anni posseduti al 31 dicembre 1994 il 2% annuo per tutti gli anni dal 1995 in poi e, comunque, fino a 40 anni. Da segnalare, inoltre, che in questi fondi sino al 1992 non esistevano tetti pensionabili che abbattevano le aliquote di rendimento al di sopra di una determinata retribuzione come previsto nell’AGO. Il risultato era quello di poter tradurre in pensione l’intera retribuzione pensionabile annua anche al ritmo di oltre il 2 % per ogni anno di servizio.
L’emendamento, proposto dal Governo e con il parere favorevole dello stesso, modifica le percentuali di rendimento pensionistico contenute nella “ Tabella A” della legge 965/1965 per le Gestioni pensionistiche ex-Inpdap, ossia Cassa per le pensioni ai dipendenti degli Enti locali (Cpdel), Cassa per le pensioni dei sanitari (Cps) e Cassa per le pensioni agli insegnanti di asilo e di scuole elementari parificate (Cpi), per allineare in toto il rendimento pensionistico dei lavoratori delle ex gestioni Inpdap a quello, nettamente meno vantaggioso, dei lavoratori privati. I risparmi sono stati previsti, riteniamo ipocritamente, per finanziare la prossima riforma organica della previdenza, ma serviranno pensiamo, invece, a finanziare qualche altro provvedimento populistico.
Il Sole 24 Ore sanità