Le misure. Fondi non più a pioggia alle Regioni ma assegnati agli ospedali con le code più lunghe che potranno spenderli per il lavoro extra del personale o per acquistare le prestazioni dai privati. Sotto la lente anche le troppe prescrizioni dei medici: dall’Iss linee guida per garantire più appropriatezza.
Marzio Bartoloni. Tempi più brevi. Il governo pronto a varare misure per accorciale le liste d’attesa nella sanità. Il Governo, con in prima fila il ministro della Salute Orazio Schillaci, è pronto a lanciare un piano straordinario che vale fino a 600 milioni l’anno da replicare fino a fine legislatura per sconfiggere il nemico numero uno della Sanità italiana: le liste d’attesa. I fondi serviranno per pagare l’extra lavoro di medici e infermieri ma anche per acquistare dalle strutture private le prestazioni se gli ospedali pubblici non ce la faranno con le loro forze: ma rispetto al passato le risorse non saranno distribuite a pioggia alle Regioni che neanche davanti alla grande domanda di cure del dopo pandemia sono state capaci di spenderli tutti, stavolta i soldi saranno assegnati dal ministero della Salute direttamente alla singola Asl dove la coda per una lastra, una tac o un ricovero sono più lunghe come risulterà dall’attento monitoraggio che si sta mettendo in piedi.
Per tagliare le lunghe attese a cui sono condannati i pazienti si lavorerà anche all’unificazione delle agende delle prenotazioni degli ospedali pubblici e di quelli privati convenzionati, così i Cup potranno smistare le richieste dei cittadini lì dove c’è il posto (oggi questa unificazione ancora non è a regime in molte parti d’Italia). Infine c’è la parte più complessa del piano che nel medio lungo periodo può portare risultati molto significativi: quella della cosiddetta «appropriatezza prescrittiva». Oggi i medici anche per difendersi da eventuali cause – un fronte sul quale il Governo sta lavorando con la riforma della colpa medica – preferiscono prescrivere un esame o una visita in più per tutelarsi, ma in diversi casi questa prestazione non è davvero necessaria per il paziente. Il problema è che questa iperprescrizione contribuisce a ingolfare il sistema e quindi ad allungare ancora di più le liste d’attesa. Da qui l’idea di affidare all’Istituto superiore di Sanità il compito, a cui sta già lavorando, di mettere a punto linee guida sui percorsi di cura in cui saranno indicate le prestazioni appropriate da prescrivere a cui i medici si dovranno adeguare per limitare inutili sprechi.
Il piano sulle liste d’attesa prenderà corpo con un decreto legge che dovrebbe vedere la luce nelle prossime settimane, ma sicuramente prima delle elezioni europee di giugno: la Sanità è un punto molto sensibile per gli italiani e per questo la premier Giorgia Meloni ci punta parecchio, come ha anticipato nei giorni scorsi: «Stiamo lavorando a un provvedimento sulle liste d’attesa, con un’attenzione particolare alle regioni che hanno un’alta mobilità passiva. Ossia quando» per curarsi una persona «si deve trasferire e la sua regione paga l’altra». Le liste d’attesa più lunghe si concentrano infatti soprattutto in alcune aree del Paese e in particolare nel Sud e così i pazienti fanno le valigie soprattutto da Campania, Calabria e Sicilia in cerca di cure negli ospedali di Lombardia, Emilia e Veneto spostando un flusso di denaro – soprattutto da Sud a Nord – che nel 2022 solo per i ricoveri si aggirava sui 2,7 miliardi. Ora l’idea di base del piano non è più quella di distribuire alle Regioni pro-quota i fondi – si parla di 600 milioni l’anno – come è accaduto in passato, quando subito dopo i mesi più duri della pandemia nel 2022 erano stati stanziati 500 milioni per recuperare le liste d’attesa, ma dopo due anni rimanevano da spendere ancora 160 milioni. Stavolta, in base a un monitoraggio chirurgico e dettagliato a livello di singolo ospedale che sarà affidato all’Agenas – l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali – si saprà con precisione dove una struttura sanitaria fa più fatica ad assicurare un ricovero, una tac o una lastra (oggi non ci sono dati ufficiali). Così, ad esempio, se l’Asl di Matera è in affanno arriveranno i fondi del ministero per provare ad accorciare le liste d’attesa: con quei soldi la struttura pagherà di più il personale per fare gli straordinari o ricorrerà alla rete di strutture private accreditate per acquistare quella prestazione per cui si è creata la coda. A confermare questa direzione è stato nei giorni scorsi anche il ministro Schillaci: «L’abbattimento delle liste di attesa è una priorità del Governo al fine di affrontare un problema annoso della nostra sanità. Il privato convenzionato è certamente parte integrante del nostro Sistema sanitario. La direzione è quella di garantire un’offerta adeguata ai cittadini. A tal fine, serve l’apporto di tutti gli attori coinvolti, la collaborazione dei vari stakeholder e delle Regioni per superare le tante diseguaglianze che costringono spesso alla migrazione sanitaria»
Il Sole 24 Ore.