Marco Rogari, Il Sole 24 Ore. Il governo Meloni sta stringendo i tempi per completare e, probabilmente ritoccare, la Nadef “light” targata Draghi con i nuovi obiettivi programmatici su cui sarà modellata la prossima manovra. Che, in attesa della riforma vera e propria da definire nel corso del 2023, conterrà un mini-capitolo pensioni. Con un obiettivo preciso: evitare il ritorno dal 1° gennaio della legge Fornero in forma integrale una volta conclusa a fine dicembre l’esperienza di Quota 102, che garantisce l’uscita con almeno 64 anni d’età e 38 di contribuzione. Al momento i tecnici dell’esecutivo starebbero ragionando su un pacchetto di misure da 1,5-2 miliardi, che includerebbe il prolungamento di Opzione donna e di Ape sociale e l’intervento chiamato a prendere il posto di Quota 102, anche se l’ipotesi di una sua proroga di un anno resta in campo. Misure in vista anche per favorire la permanenza al lavoro di alcune categorie, in particolare del settore pubblico, oltre la soglia di pensionamento. La decontribuzione riguarderebbe anzitutto i medici, gli operatori sanitari e i lavoratori di specifiche categorie che pur avendo i requisiti per il pensionamento decidessero di restare al lavoro. I requisiti “minimi”, pertanto, potrebbero essere diversi da settore a settore.
Ma questa soluzione non piace ai sindacati, che lo ribadiranno al tavolo del 4 novembre convocato dal ministro Marina Calderone per incontrare tutte le parti sociale, e nell’attuale versione non è gradita neppure alla Lega. Che spera di riuscire a rendere più robusto e variegato il menù previdenziale della manovra andando possibilmente oltre i 2 miliardi, magari grazie all’utilizzo di una fetta delle risorse da recuperare con la stretta in arrivo sul Reddito di cittadinanza. Anche perché il Carroccio spinge per aprire la strada ad altre misure. Come quella che prevede una decontribuzione totale, con il risultato di rendere più pesante lo stipendio, per favorire la permanenza al lavoro di alcune categorie, in particolare del settore pubblico, oltre la soglia di pensionamento. Un’agevolazione contributiva sulla falsariga del cosiddetto bonus Maroni, che però in questo caso non sarebbe generalizzata e non scatterebbe rigidamente dai 63 anni in su. Si tratterebbe di una decontribuzione in qualche modo selettiva e mirata anche per evitare che i costi diventino insostenibili. Nello schema abbozzato dalla Lega sotto il coordinamento di Claudio Durigon, appena tornato da sottosegretario al ministero del Lavoro dove era già stato con lo stesso incarico nel “Conte 1”, la decontribuzione riguarderebbe anzitutto i medici, gli operatori sanitari e i lavoratori di specifiche categorie che pur avendo i requisiti per il pensionamento decidessero di restare al lavoro. I requisiti “minimi”, pertanto, potrebbero essere diversi da settore a settore.
Resta da vedere se il ministro Calderone e le parti sociali sosterranno questa opzione. Lo snodo chiave del confronto di venerdì resta quello del dopo Quota 102. La Lega punta a un restyling della Quota per inserire il vincolo dei 41 anni di contribuzione (con 61 anni d’età) che rappresenterebbe il primo passo verso quella Quota 41 “secca” diventata un obiettivo di legislatura. Il costo di questo intervento sarebbe leggermente inferiore al miliardo. Ma i ristretti spazi di finanza pubblica da utilizzare potrebbero costringere il governo a salire a Quota 103, che sulla base delle richieste del Carroccio potrebbe scaturire da 41 anni di versamenti e 62 anni d’età. Entrambe queste soglie sono state indicate dai sindacati seppure in alternativa tra loro. Ma negli ultimi giorni è spuntata anche una variante che prevederebbe il pensionamento anticipato con 63 anni e 40 anni di versamenti. E resterebbe in campo anche l’ipotesi di Quota 102 o 103 con un mix flessibile partendo da una soglia minima anagrafica predefinita.