La riduzione causata dal nuovo meccanismo diventa più consistente con il crescere dell’importo mensile. Riparte l’adeguamento all’inflazione delle pensioni di importo superiore a tre volte il trattamento minimo (per il 2013 pari a 1.443 euro), ma rispetto alle regole in vigore prima del 2012 in tre anni si perderà comunque almeno il 5% dell’assegno annuale. Il disegno di legge di stabilità varato nei giorni scorsi dal Governo prevede, per il triennio 2014-2016, la rivalutazione automatica degli importi secondo il meccanismo già noto della legge 448/1998. Prima dell’entrata in vigore del decreto Salva Italia (Dl 201/2011), le pensioni fino a tre volte il trattamento minimo subivano un adeguamento pari al 100% dell’aumento del costo della vita.
Gli importi superiori a tre volte e fino a cinque volte l’importo minimo avevano un adeguamento parziale, pari al 90% dell’inflazione, mentre per importi superiori l’adeguamento era limitato al 75 per cento.
In considerazione della situazione finanziaria di fine 2011, la rivalutazione automatica delle rendite previdenziali fu riconosciuta nella misura del 100%, per gli anni 2012 e 2013, esclusivamente ai trattamenti pensionistici di importo complessivo fino a tre volte il trattamento minimo Inps. Per le pensioni di importo superiore a tre volte il trattamento minimo e inferiore a tale limite incrementato della quota di rivalutazione automatica spettante, l’aumento di rivalutazione fu comunque attribuito fino a concorrenza del predetto limite maggiorato. Trascorso il biennio, e in assenza di una specifica norma, la rivalutazione sarebbe ripresa secondo i meccanismi già noti.
Per il prossimo triennio, la legge di stabilità conferma la rivalutazione piena dei trattamenti pensionistici fino a tre volte l’importo minimo mentre sarà limitata al 90 per cento per gli assegni di importo superiore a tre volte ma inferiore o pari a quattro volte l’assegno Inps. L’adeguamento al costo della vita sarà limitato al 75% per gli importi superiori a quattro volte ma inferiori o pari a cinque volte il trattamento minimo. Le pensioni di importo superiore a 2.405 euro (valore 2013) subiranno una rivalutazione dimezzata poiché è previsto un adeguamento pari al 50% dell’aumento dei prezzi.
Infine il prossimo anno sarà caratterizzato da una stretta di vite per gli importi superiori a sei volte il trattamento minimo (oggi 2.886 euro) poiché i beneficiari non si vedranno attribuire alcun beneficio. I destinatari di pensioni elevate (circa 100mila euro annui) pagheranno anche un contributo di solidarietà a favore delle gestioni previdenziali obbligatorie. Gli enti previdenziali dovranno trasmettere al casellario centrale delle pensioni gli importi erogati in favore dei pensionati affinché l’Inps possa provvedere alle operazioni di adeguamento tenuto conto di tutti gli importi pro-quota che i singoli gestori corrispondono agli aventi diritto.
I pensionati che alla fine del 2011 godevano di un trattamento pensionistico fino a 1.405,05 euro lordi mensili non hanno subito alcuna perdita del potere di acquisto nel biennio 2012/2013, poiché è stato garantito l’adeguamento pieno rispetto all’inflazione registrata.
I pensionati con assegno di 1.500 euro nel 2011 (importo superiore a tre volte il trattamento minimo), finora hanno avuto una perdita su base annua di 1.013 euro e non potranno in alcun modo recuperare tale differenza poiché, in caso contrario, si vanificherebbero gli effetti positivi sulle finanze pubbliche. Infatti nel 2016, quale effetto della legge di stabilità 2014, su base annua incasseranno 1.068 euro in meno rispetto a quanto previsto dalla normativa ante riforma. Il taglio corrisponde al 4,9 per cento.
Naturalmente più alto è l’importo del trattamento pensionistico maggiore sarà la perdita. Alla fine del 2016, un pensionato che nel 2011 percepiva un assegno di 2.600 euro avrà subito una perdita secca di oltre 2mila euro l’anno, pari al 5,5% del trattamento che sarebbe stato corrisposto con le regole ante 2012.
Il Sole 24 Ore – 18 ottobre 2013