Le parole sono prudenti. Anche perché Giorgia Meloni sa bene che ad ascoltarla ci sono anche i mercati. E alla sostenibilità del sistema previdenziale è legata anche quella del debito pubblico. Il premier dunque non si sbilancia a promettere nuovi scivoli e non cita nemmeno mai quale Quota 41, il pensionamento con 41 anni di contributi versati, caro alla Lega. Meloni si limita a dire che «il tema delle pensioni va affrontato in maniera più organica di quanto fatto finora, anche da noi» e va «affrontato anche con le parti sociali se hanno voglia di fare questo lavoro».
Immediata la risposta del segretario della Cisl Luigi Sbarra. «Per quanto ci riguarda», ha detto, «siamo pronti a incontrare il governo immediatamente per mettere sul tavolo le nostre proposte». Meloni è poi tornata su un tema sul quale spinge da tempo: le pensioni dei giovani. Chi ha iniziato a lavorare dopo il 1996 e si trova nel sistema totalmente contributivo vivrà, pensionisticamente parlando, in un altro mondo: andrà più tardi in pensione (anche a 70 anni suonati) e con assegni più bassi (calcolati solo in base ai contributi versati e non alle retribuzioni percepite durante la vita lavorativa). Dunque se riforma ci sarà, dovrà guardare prioritariamente ai giovani. «Io sono fiera», ha detto Meloni, «del lavoro fatto in manovra sulle pensioni dei giovani». Anche perché, ha aggiunto, non si può «scaricare su chi non si può difendere» e bisogna colmare «il gap» esistente «di garanzie. Abbiamo iniziato a mettere qualche paletto – ha detto ancora concludendo che «la sostenibilità del sistema pensionistico va costruita con equilibrio: il sistema migliore possibile ma uguale per tutti».
Nella manovra insomma, sono state già poste le basi della riforma che il governo ha in mente. Partiamo dai giovani. Potranno andare in pensione a 67 anni, come gli altri, se avranno maturato una pensione di almeno 580 euro, pari all’assegno minimo. Se avranno maturato questa cifra con i propri contributi non rischieranno, insomma, di dover lavorare fino a 70 anni o più. Questa è la prima novità della manovra. La seconda è che per chi anticiperà il pensionamento e si trova nel sistema contributivo (sempre i giovani), l’assegno pensionistico non potrà superare 5 volte quello minimo. Insomma, pensione piena a 67 anni pensione ridotta se si lascia prima. Un principio analogo c’è anche nella nuova Quota 103, il pensionamento con 62 anni di età e 41 di contributi. Chi usa lo scivolo si vedrà ricalcolato l’assegno con il più penalizzante metodo contributivo.
Il Gazzettino