Come è noto, gli esperti dell’Osservatorio nel corso degli incontri tecnici non hanno anticipato valutazioni specifiche e neppure caldeggiato alcuna proposta operativa per rendere più flessibile in uscita il sistema previdenziale: le loro indicazioni saranno messe nero su bianco esclusivamente nel rapporto finale che sarà consegnato entro la fine della settimana (a meno di un allungamento dei tempi in extremis) al ministro del Lavoro, Marina Calderone, promotrice di questa task force. Ma non è casuale che al tavolo la parola “contributivo” sia stata tra quelle ripetute con maggiore frequenza. Del resto, nello stesso rapporto annuale 2022 dell’Inps, presentato nei giorni scorsi, si sottolinea che «rispetto ad altri strumenti per l’uscita anticipata dal mercato del lavoro, il ri-calcolo contributivo del trattamento pensionistico meglio risponde ai requisiti di equità intergenerazionale e attuariale, e quindi di maggiore coerenza con le esigenze di sostenibilità del sistema».
Le stime sull’andamento delle uscite pensionistiche che saranno inserite nella Nadef in arrivo il 27 settembre, partendo dall’ultima previsione della Ragioneria generale con cui viene quantificato per il biennio 2023-2024 nel 16,2% il peso della spesa previdenziale sul Pil e ipotizzato un picco del 17% nel 2040, e la fotografia del quadro demografico scattata dall’Istat non faranno altro che rendere ancora più impervio il percorso che dovrebbe portare a Quota 41 secca. Con la manovra in arrivo dovrebbero invece essere resi meno rigidi gli accessi dei lavoratori “contributivi” (quelli in attività o con versamenti a partire dal 1° gennaio 1996), under 35 in testa (ma non solo), al pensionamento anticipato con 64 anni d’età e 20 di contributi e al trattamento di vecchiaia attualmente a 67 anni. Due canali d’uscita vincolati a un assegno minimo, rispettivamente di 2,8 e 1,5 volte il minimo, al quale concorrerebbe anche il valore della rendita di un’eventuale forma di previdenza integrativa.
I tecnici del governo stanno anche valutando varie ipotesi per allentare la stretta su Opzione donna scattata a inizio 2023. A cominciare dalla possibilità di introdurre una sorta di “Ape sociale donna”, di cui si parla da alcune settimane, per consentire alle lavoratrici alle quali è consentita l’uscita anticipata (caregiver, con almeno il 74% di invalidità civile, licenziate) e a quelle impegnate in mansioni gravose, che abbiano maturato 61-62 anni d’età e 30 anni di contributi (28 per le madri con due figli), di beneficiare fino al raggiungimento della soglia di vecchiaia di un sussidio non superiore ai 1.500 euro lordi per 12 mensilità e comunque svincolato dal ricalcolo contributivo dell’assegno. Il ministro delle Imprese, Adolfo Urso, rilancia poi per le piccole aziende la misura sull’affiancamento dei lavoratori neo-pensionati o pensionandi come tutor per i nuovi assunti.