Il Sole 24 Ore. La nota di aggiornamento delle tendenze di medio-lungo periodo elaborate dalla Ragioneria generale dello Stato, apparsa lo scorso dicembre, rivela che i requisiti per accedere alla pensione non dovrebbero subire incrementi neanche nel biennio 2025-2026, mentre nella versione precedente delle tabelle era stato previsto un incremento di tre mesi. Un aggiornamento che ha conseguenze immediate sui piani di esodi aziendali per i lavoratori vicini alla pensione realizzati tramite isopensione, contratto di espansione o assegno straordinario dei fondi bilaterali.
La legge 122/2010 stabilisce che, a cadenza biennale, tutti gli ingressi a pensione possono subire un incremento, fino a un massimo di tre mesi, sulla base del monitoraggio della variazione della speranza di vita in Italia. La circolare Inps 28/2022 del 18 febbraio ha recepito i risultati del decreto del ministero dell’Economia e delle Finanze del 27 ottobre 2021, il quale ha ufficialmente stabilito che nel biennio 2023-24 gli ingressi a pensione non subiranno alcun incremento nei requisiti anagrafici o contributivi. Quindi per la pensione di vecchiaia, fino al 2024, serviranno 67 anni di età per entrambi i sessi, mentre per l’anticipata i requisiti sono congelati fino al 2026 per effetto del decreto legge 4/2019.
Tuttavia, oltre a questo “congelamento” ufficiale fino al 2024, va considerato che un documento, normalmente emanato una volta all’anno da parte della Ragioneria dello Stato, elabora, pur se con valore non vincolante, la dinamica della speranza di vita oltre a quanto stabilito in via definitiva dai decreti del Mef: si tratta del rapporto della Ragioneria generale dello Stato sulle tendenze di medio-lungo periodo del sistema pensionistico e socio-sanitario. L’edizione del 2021 è stata pubblicata a settembre. Tuttavia, il 26 novembre Istat ha rilasciato nuove previsioni demografiche su base 2020 che sono state recepite dalla Ragioneria dello Stato con un aggiornamento sulle previsioni di accesso a pensione con requisiti, per il trattamento di vecchiaia nel biennio 2026-27 più bassi di tre mesi rispetto a quelli contenuti nel rapporto pubblicato a settembre.
Questi dati non hanno solo un valore statistico, ma hanno ricadute immediate su aziende e lavoratori coinvolti negli esodi: infatti Inps, da ultimo con la circolare 142/2021, ha ricordato come le sue sedi territoriali devono utilizzare le tabelle incluse nel Rapporto per certificare gli accessi a pensione previsionali dei lavoratori che partecipano a esodi e prepensionamenti strutturati (come l’assegno straordinario dei fondi bilaterali, l’isopensione o il contratto di espansione, recentemente prorogato fino alla fine del 2023).
Per questi lavoratori, dunque, il dato aggiornato del Rapporto 2021 della Ragioneria dello Stato resta tutt’altro che teorico e determina la partecipazione, o meno, all’esodo per il quale hanno manifestato la volontà di aderire. Le nuove tabelle, considerando l’estensione massima a sette anni dell’isopensione, rivelano che la pensione di vecchiaia rimarrà a 67 anni fino al 2026, incrementandosi di due mesi dal 2027 al 2028 e poi di altri tre mesi (67 anni e cinque mesi) dal 2029. Nell’elaborazione precedente i requisiti erano di 67 anni e tre mesi nel biennio 2025-26, quindi 67 anni e sei mesi nel 2027-28 e 67 anni e nove mesi nel 2029-30 (si veda la tabella a fianco).
La pensione anticipata, congelata nei suoi requisiti dal Dl 4/2019 fino al 2026, nel biennio 2027-2028 richiederà 42 anni di contributi alle donne e un anno in più agli uomini (un mese in meno rispetto alla stima precedente), ferma restando la finestra di attesa di tre mesi prima della decorrenza del trattamento.
Rimane da verificare tuttavia se le certificazioni di ingresso agli esodi che saranno prodotte da Inps nel corso del 2022 saranno tarate sulle tabelle della Ragioneria di settembre o dicembre 2021, in quanto la prima delle due applicherebbe requisiti peggiorativi a oggi non più sostenuti dalle più recenti proiezioni Istat, con possibili esclusioni dall’accesso all’esodo in realtà non più fondate.
Stime 2012 rallentate anche dal Covid. Tra il 2025 e il 2030 assegno di vecchiaia 9 mesi prima rispetto alle stime 2012
Confrontando la più recente previsione elaborata dalla Ragioneria generale dello Stato, tra il 2025 e il 2030 la pensione di vecchiaia si raggiungerà con nove mesi di anticipo rispetto a quanto stimato nel 2012, mentre per la pensione di anticipata lo “sconto” sarà di 14 mesi.
Le cause che hanno determinato un incremento dei requisiti inferiore a quello calcolato dieci anni fa sono più di una.
I requisiti di pensionamento sono innanzitutto collegati alla variazione della speranza di vita per i cittadini con 65 anni di età. Valore che inizialmente veniva aggiornato ogni tre anni e ora ogni due. Il decreto del ministero dell’Economia del 27 ottobre 2021 relativo ai requisiti da applicare nel 2023-24 ha certificato che la speranza di vita nel 2019-20 è risultata di tre mesi inferiori a quella del 2018-19. Ciò non ha comportato una riduzione dei requisiti in quanto la normativa vigente consente solo adeguamenti verso l’alto, ma prevede il recupero delle diminuzioni in occasione di adeguamenti successivi. Quindi, se tale disposizione fosse applicata per il 2026-27, i requisiti rimarrebbero invariati a prescindere dalle elaborazioni effettuate dalla Ragioneria.
Nel 2020 la speranza di vita ha già risentito degli effetti della pandemia Covid-19, che si fanno sentire anche sulle previsioni per le previsioni sul 2026-27 («i primi anni della previsione riescono a tener conto degli effetti provocati dalla pandemia Covid-19 su tutte le componenti della popolazione» si legge nell’ultima versione del Rapporto). Comunque, dato che l’aspettativa di vita si è ridotta, ma non i requisiti di pensionamento, ciò significa che si vive in media di meno e che la pensione si è allontanata.
Ci sono poi fattori normativi, intervenuti nel tempo, che hanno inciso sull’evoluzione dei requisiti a prescindere dalla variazione della speranza di vita. La legge 205/2017 ha stabilito che gli incrementi tra un biennio e l’altro non possono essere superiori a 3 mesi. In conseguenza di ciò, oggi non sarebbe possibile per esempio attuare il passaggio, previsto nel 2012, del requisito della pensione di vecchiaia da 67 anni e 5 mesi a 67 anni e 9 mesi tra il 2024 e il 2025.
Per quanto riguarda la pensione anticipata, a ciò si aggiunge il congelamento del requisito introdotto con il decreto legge 4/2019 fino a tutto il 2026. Per effetto di questo provvedimento già dal 2016 e fino al 2026 gli uomini accedono a tale trattamento con 42 anni e 10 mesi di contributi (un anno in meno le donne) indipendentemente dall’età. E questo spiega il maggior disallineamento delle stime 2012-2021 riferite alla pensione anticipata rispetto a quella di vecchiaia.